Gli incentivi alle imprese, tra fiscalità di vantaggio – non di rado contestata in passato dall’Unione Europea – e sovvenzioni a fondo perduto ovvero in conto capitale o interessi o garanzia, si sono moltiplicati fin quasi a raggiungere un totale di 2000 strumenti di agevolazione. Di questi, trecento fanno capo allo Stato e 1700 sono stati istituiti dalle Regioni nell’ambito della propria autonomia settoriale.Si tratta di norme che rappresentano 40 anni di interventismo pubblico nato e svoltosi magari con propositi anche lodevoli, ma che hanno prodotto sviluppi non solo industriali e produttivi: con essi, hanno generato un labirinto e una Babilonia di situazioni normative, tributarie e finanziarie spesso sovrapposte fra di loro, dove i provvedimenti successivi non si sostituivano ma si aggiungevano ai precedenti. Determinando casi paradossali di un eccesso di interventi in taluni settori o micro settori a fronte di altri che rimanevano scoperti del tutto o quasi pur esprimendo potenzialità di sviluppo.
Paradosso nel paradosso, numerose provvidenze causavano situazioni di autentico dumping fra imprese nuove e aziende storiche di un medesimo comparto merceologico, dove la pressione fiscale generale continuava a rimanere elevata per poter finanziare tali sgravi.La riforma degli incentivi, varata dal Consiglio dei Ministri in forma di disegno di legge delega, che dovrà essere approvato dal Parlamento, autorizzerà il Governo a varare una serie razionale di decreti legislativi delegati attraverso i quali sarà costruito il Codice unico degli incentivi, secondo principi di coordinamento interno degli aiuti, di non sovrapposizione degli stessi, di digitalizzazione con l’attivazione di una piattaforma univoca da cui attingere le forme di sostegno più utili alla propria attività aziendale e piano di investimenti.
Un ruolo sarà svolto dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale con l’obiettivo di assicurare in ogni momento la flessibilità e la capacità modulare degli strumenti che configurano l’interventismo statale e regionale, così da finalizzare secondo risultati di massimo ritorno economico reale e occupazionale le risorse del bilancio pubblico centrale e territoriale.Il traguardo finale per il conseguimento del Codice è stabilito entro 24 mesi dall’approvazione della legge di delegazione parlamentare. Un aspetto importante sarà quello del coordinamento con l’autonomia regionale, al fine di prevenire fenomeni di dispersione, polverizzazione o eccessiva concentrazione di risorse su taluni settori a scapito di altri.Con la speranza e l’auspicio che il Codice unico sia anche l’unico Codice consultabile e non faccia la fine dello sportello unico delle imprese, mai diventato veramente l’unico ufficio di interlocuzione amministrativa dei settori aziendali e produttivi.Nati per essere bonus in economia reale ma nel frattempo diventati malus per le casse dello Stato e per le stesse famiglie e imprese che in molti casi ne sono rimaste escluse per la non esatta conoscenza ovvero per le complessità normative dello sgravio.
Se le imprese (e la UE in nome del regime degli aiuti di Stato) invocano semplificazione e certezza della legislazione (nonché della normazione sottostante, essendo le circolari applicative di MEF ed Entrate delle vere e proprie norme addizionali novative senza passaggio democratico), altrettanto chiede a voce alta l’associazionismo di categoria delle costruzioni.In una recente intervista al quotidiano Italia Oggi, il parlamentare leghista Alberto Gusmeroli, nel duplice ruolo di presidente della commissione attività produttive e di componente la commissione finanze della Camera dei deputati, è al lavoro per coordinare – restando nella metafora edilizia – un cantiere volto sia a riunire in un solo strumento fiscale e finanziario l’attuale caotico panorama di bonus e incentivi vigenti, sia a offrire una soluzione per il disincaglio di quei 19 miliardi di crediti fiscali stoppati dal decreto Meloni-Giorgetti benché corrispondenti a interventi realmente avviati.Il rappresentante della maggioranza di centrodestra ha annunciato che la riunificazione dei bonus nell’ambito delle costruzioni civili e residenziali avrà luogo per il tramite di una legge ordinaria, basata sul confronto parlamentare, e volta a offrire uno stabile e certo quadro di riferimento operativo per i cittadini che commissionano attività di riqualificazione e ristrutturazione e per le imprese incaricate di eseguirle. Questo sia per uscire in maniera ordinata da provvedimenti nati per fare fronte a gravi emergenze economiche globali – come quelle causate dalla pandemia sanitaria del 2020 – sia per adeguare l’ordinamento nazionale italiano alle sfide (im)poste dalle direttive comunitarie europee – comunque da attenuare negli aspetti più ideologici – in tema di riconversione “green” del patrimonio residenziale al 2035.Partendo dal presupposto che la maggioranza degli episodi di truffa, presunta o accertata, ha riguardato non tanto principalmente il super eco bonus al 110 per cento quanto altri sgravi a partire dal bonus facciate che non disponeva delle stesse procedure di vigilanza, il parlamentare della Lega tiene a mettere in risalto le obiettive incongruenze di un incentivo che, sebbene abbia determinato un aumento netto molto significativo del deficit pubblico salito nel 2022 fino all’otto per cento in relazione al PIL, non ha tuttavia consentito una altrettanto ampia partecipazione della platea dei contribuenti e delle fattispecie immobiliari potenzialmente interessate, tanto che meno del quattro per cento del totale dei condomini e delle unità abitative autonome risulta essere stato asseverato per l’avvio di interventi agevolabili.Una stortura rispetto alla quale la proposta della Lega punta, oltre che alla riunificazione degli sgravi, e alla loro intelligibilità normativa e applicativa, a introdurre un sistema nel quale la detraibilità continui sì a essere accompagnata dalla possibilità di cedere il credito d’imposta o di scontarlo nella fattura dell’impresa incaricata, ma con la stessa scansione temporale e gli stessi limiti di importo della somma che può essere ogni anno portata in detrazione dall’Irpef in sede di dichiarazione dei redditi e di modello unico.Una soluzione che risolverebbe il dilemma della sostenibilità dei conti pubblici e che offrirebbe un ponte anche a coloro, i cosiddetti incapienti, che legalmente non presentano il modello di denuncia reddituale ai fini Irpef. Una proposta che, assieme a quella delle compensazioni in regime di deleghe F24 per disincagliare i crediti tributari già maturati, riporta il Governo Meloni, e la sua maggioranza, sui binari del dialogo con l’associazione bancaria italiana ABI e con Ance Confindustria.Insomma, il cantiere legislativo è ripartito. Con la speranza esplicita che faccia ripartire quelli delle costruzioni.
Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti