Extra-profitti, Patuelli a Giorgetti: “Il settore bancario è già soggetto a oneri addizionali”

Si intensifica il dibattito a distanza fra Governo e Associazione bancaria italiana sul tema di una possibile tassazione dei cosiddetti extra-profitti che sarebbero stati conseguiti dagli istituti di credito a seguito dei rincari dei tassi di riferimento decisi dalla BCE per contrastare l’inflazione. A ipotizzare un intervento fiscale sulla quota di utili in eccedenza, rispetto alla media degli esercizi precedenti gli aumenti del costo del denaro deliberati da Christine Lagarde, è stato il Ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, nel corso della più recente riunione del Consiglio dei ministri economico finanziari dell’Unione Europea.


Questo nonostante il poco lusinghiero ritorno di cassa della tassazione straordinaria che fu deliberata dal precedente Governo Draghi – con Giorgetti a capo del dicastero dell’industria e dello sviluppo – e l’aggiunta di polemiche e ricorsi nel settore delle compagnie energetiche che avrebbero dovuto sostenerne l’onere.

Secondo l’alto esponente del Governo Meloni e della lega di Salvini, un intervento di tipo dirigistico si renderebbe necessario in considerazione della circostanza che i tassi di interesse praticati nei confronti dei correntisti per mutui e prestiti sarebbero lievitati in misura più che proporzionale al confronto con gli incrementi fissati da Francoforte sui cosiddetti tassi di riferimento, e ciò – prosegue ancora Giorgetti nella propria analisi – a fronte di miglioramenti impercettibili nei rendimenti dei conti correnti e dei depositi. Rendimenti che il Ministro titolare del MEF ha chiesto di aumentare a beneficio dei risparmiatori.

La tassazione sugli extra profitti delle società finanziarie servirebbe a finanziare la prosecuzione delle misure che palazzo Chigi è impegnato ad attuare per cercare di aumentare, senza accrescere l’inflazione generale, il potere d’acquisto delle famiglie.

Immediata la replica di Antonio Patuelli, Presidente del gruppo Cassa di Ravenna e dell’Associazione bancaria italiana ABI: “Il concetto di extra profitto in sé non esiste, esistono i dividendi degli azionisti ed esiste un settore, quale è quello bancario, che il testo unico varato fin dai primi anni Novanta identifica come un settore imprenditoriale. Con l’aggiunta, che non si rinviene in nessun altro ambito, che gli istituti di credito sono tenuti, in forza di direttive e leggi, a concorrere al salvataggio di concorrenti in crisi per evitare che gli oneri di questa ricadano sulla clientela finale. Pertanto, la definizione del concetto di extra profitto come presupposto per introdurre tassazioni aggiuntive sarebbe un modo per colpire ulteriormente gli azionisti”.

Azionisti fra i quali, va ricordato, rientrano altresì le fondazioni di origine bancaria, il cui ruolo è quello di finalizzare una quota degli utili e della redditività delle banche partecipate o controllate al proprio territorio di riferimento tramite erogazioni di contributi nei settori del welfare, della cultura, dell’assistenza sociale.

Il Presidente Patuelli ha tenuto a ricordare che le società creditizie sono già soggette a una addizionale Ires del 3,5 per cento oltre all’aliquota ordinaria del 24, mentre i dividendi sono assoggettati alla cedolare secca del 26 per cento. Senza considerare l’ulteriore dato di fatto che l’austerità monetaria della BCE aumentando gli interessi sui titoli del debito pubblico determina sugli stessi dei deprezzamenti che si traducono in minusvalenze patrimoniali delle Banche le quali devono farvi fronte con accantonamenti prudenziali tratti dai propri risultati economici.

Sul versante infine dei rendimenti di depositi e conti correnti, il vertice di ABI ha concluso che questi rappresentano il più delle volte strumenti non di investimento bensì di servizio ai correntisti, come viene stabilito peraltro nei contratti firmati con la clientela.

Un dibattito destinato pertanto a protrarsi non meno di quello che ha portato allo stallo della tassa sugli utili eccedenti delle compagnie energetiche, queste ultime peraltro a diretto controllo o partecipazione statale. A differenza delle Banche che, con la sola eccezione di Monte Paschi, sono oramai sul mercato dal tempo della legge Amato del 1990.

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