PNRR, il Governo pronto a rinunciare a parte dei fondi. Patuelli (ABI): “Italia diventi zona economica speciale”

Le esternazioni di qualche settimana fa del capogruppo della Lega Riccardo Molinari, sulle quali si erano registrate immediate critiche e prese di distanza da parte delle altre forze della maggioranza governativa, oltre che della stessa Premier Giorgia Meloni in persona, si rivelano adesso più condivise di quanto non lo si immaginasse agli inizi.

La storica cronica non-capacità del nostro Paese di dare seguito alla gran parte dei programmi di spesa, finanziati con i fondi UE, troverebbe pertanto triste conferma nella partita per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza destinato a rendicontazione finale, salvo proroghe da parte della Commissione europea, fra tre anni.

A quel tempo, le somme prese a prestito ovvero ottenute a fondo perduto – ma non pienamente impiegate dall’Italia, dalle sue Istituzioni centrali e locali – dovranno essere restituite integralmente a Bruxelles. A denunciare questo rischio, in un colloquio con un noto quotidiano nazionale, è niente meno che il Ministro della Difesa, nonché consigliere della Premier e cofondatore di Fratelli d’Italia, Guido Crosetto: egli cita infatti l’esempio di un’opera pubblica appaltata a fronte di un finanziamento del Pnrr che tuttavia alla scadenza del 2026 si scopre essere stato utilizzato solo in parte; in tal caso, il nostro Paese sarebbe tenuto a rimandare indietro non soltanto l’importo non utilizzato ma anche quello già speso, con il risultato di avere un’opera pubblica non ultimata e, oltre a ciò, ricadente in misura totale sul bilancio dello Stato nazionale.

Una circostanza che, secondo il politico piemontese e titolare del dicastero preposto alla sicurezza militare dell’Italia, si tradurrebbe in una perdita netta di risorse; motivo per cui sarebbe assai più preferibile esigere da Bruxelles, nell’ambito dei quasi 200 miliardi di recovery plan, unicamente le quote di fondi corrispondenti a quei capitoli che si è sicuri di eseguire per intero nei tempi perentori.

Il problema alla fonte non si riduce alla pur grave questione della burocrazia, nei confronti della quale non sono bastati tutti i vari interventi di commissariamento operati dal Governo in carica e dai precedenti Esecutivi nei confronti di amministrazioni centrali e territoriali lente o inadempimenti; esso si estende al persistente rincaro delle materie prime e alle obiettive difficoltà di reperimento di importanti tipologie di fattori produttivi e beni strumentali occorrenti all’esecuzione delle opere programmate e incluse nella lista del Pnrr.

A Crosetto ha fatto eco il Ministro della pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, dirigente e riferimento di Forza Italia per il Piemonte: il recovery, nato per traghettare l’Italia lungo la transizione post pandemica, adesso ha necessità di essere attualizzato, poiché deve essere pacificamente riconosciuto che, mentre alcuni progetti dovranno essere abbandonati, per altri la capacità di realizzazione rimane ma va trasferita dal Pnrr al capitolo dei fondi di coesione che consentono un orizzonte temporale oltre il 2026. I prossimi giorni saranno dunque caratterizzati da una maratona dei vari Ministri coinvolti, sia per riscrivere parte del Piano di ripresa e resilienza, e ottenere il nulla osta da Bruxelles, sia per riferire al Parlamento, opposizioni comprese, in merito a quei capitoli a cui dovremo rinunciare come sistema Paese.

Nel frattempo, sembra essere più vicina la decisione della Commissione di Bruxelles di erogare la rata temporaneamente sospesa da 19 miliardi di euro: dalla rosa dei progetti da finanziare con tali risorse, verranno esclusi gli stadi di Firenze e di Venezia, su cui gli uffici di monitoraggio della UE avevano espresso più di una perplessità sul loro impatto – a danno di altri interventi dalle scuole agli asili nido al piano casa – e sulla loro rispondenza alla filosofia originale del Piano.

Se il dibattito politico si dimena fra ipotesi e traiettorie prossime future dove la sola certezza assume i contorni di tante incertezze, dal settore bancario continua a giungere un apporto altamente costruttivo alle discussioni in corso. A confermarlo sono le riflessioni del Presidente dell’Associazione bancaria italiana, ABI, Antonio Patuelli: “Qual è la natura del problema italiano? – si domanda il massimo rappresentante del mondo degli istituti di credito – A mio avviso essa è, in maniera eminente, giuridica. Il modo di legiferare sovrappone nuove normative alle vecchie, senza abrogazioni esplicite di queste ultime. In questo modo, i pubblici ufficiali che rappresentano i decisori amministrativi nei Comuni, nelle Province, nelle Regioni, nello Stato e negli altri Enti Pubblici, prima di apporre una firma con responsabilità penali e personali connesse, devono essere sicuri che non ci sia una norma sopravvissuta e, come tale, da ricercare. L’ordinamento, infatti, è molto complesso e impone procedure semplificate, altrimenti sarà sempre più difficile muoversi”.

Da qui la proposta del Banchiere, e Presidente del Gruppo della Cassa di risparmio di Ravenna, a chi ha responsabilità politiche nazionali: “Fino al completamento del Pnrr, sarebbe necessario fare dell’Italia intera una Zes, zona economica speciale, un’area cioè dove le normative siano molto semplificate per accelerare lo sviluppo. Se un tale status è ammesso, come è avvenuto finora, per qualche città e per qualche porto, allora vuol dire che, alle condizioni date, è estendibile e ammissibile per tutto il Paese”.

Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti

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