De Mattia: educazione finanziaria, anche future leggi avranno sempre bisogno di battistrada come Ghisolfi

Angelo De Mattia, prestigioso editorialista di Milano Finanza e storicamente estimatore del Banchiere internazionale Beppe Ghisolfi, ha pubblicato un interessante articolo all’indomani dell’annuncio dell’onorevole Federico Freni, Sottosegretario di Stato al dicastero dell’economia e delle finanze – e di fatto Vice di Giancarlo Giorgetti per il capitolo della riforma del mercato dei capitali – di varare un disegno di legge governativo per avviare l’introduzione dell’educazione finanziaria autonoma nei piani di studio delle scuole superiori.


Un passaggio che alla prima manifestazione di enfasi potremmo definire storico, e forse magari lo sarà dopo che avremo preso visione del testo articolato della proposta normativa comunicata in anteprima dall’onorevole Freni – e predetta per la prima volta dallo stesso Giorgetti a gennaio – ma che potrebbe rappresentare soltanto il primo passo di un percorso molto più complesso e potenzialmente accidentato. Così tanto da richiedere l’intervento di quelli che Angelo De Mattia, riferendosi in modo diretto e personale a Beppe Ghisolfi, ha definito i battistrada (oltre che pioniere) della disciplina.

Attualmente l’educazione finanziaria convive all’interno della più vasta materia della reintrodotta educazione civica, ma non ha mai beneficiato di una regolamentazione e di uno stanziamento autonomo di risorse. Cosicché le pur numerose e meritorie iniziative fin qui svolte sono state il frutto di azioni spontanee di soggetti pubblici e privati non inserite tuttavia in un quadro didattico prescrittivo e curriculare per gli studenti e per gli stessi docenti.

Secondo l’Editorialista De Mattia, la sfida sarà vinta dal momento in cui la strategia di alfabetizzazione all’economia e alla finanza diventerà, con forza normativa, un patrimonio comune agli alunni, ai genitori, agli addetti ai lavori (docenti e intermediari) e agli stessi decisori politici e amministrativi, compresi i legislatori e i magistrati chiamati a dirimere casi presunti di risparmio tradito.

È notizia recentissima che gli stessi Banchieri centrali hanno riconosciuto nell’attuale livello dell’inflazione, al netto della componente energetica in calo, un fenomeno di natura speculativa legato alla circostanza che, lungo alcuni anelli della filiera che va dalla produzione alla commercializzazione finale, i prezzi sono cresciuti più dei costi che dovevano coprire. Da qui una maggiore pressione del carovita sui salariati che hanno dovuto iniziare a prelevare dai propri risparmi per riempire, non più completamente come prima, il carrello della spesa.

L’educazione finanziaria diventa pure, in tal caso, un tassello decisivo per mettere a punto prodotti e servizi trasparenti e tracciabili che, comunicati a una platea ampia e a propria volta informata e preparata, consentano ai risparmiatori di acquisire partecipazioni nei grandi complessi produttivi del Paese e, ove lavoratori, nel ciclo gestionale delle aziende da cui dipendono (articoli 47 e 46 della nostra Costituzione). Strumenti per difendere redditi e risparmi dalla tassa iniqua dell’inflazione, attraverso un mix di maggiore redditività e produttività.

L’educazione finanziaria, “Costituzione materiale” del nostro Paese. Ecco perché tale disciplina, che ha come base il precetto costituzionale sulla tutela del risparmio, è a tutti gli effetti la Costituzione materiale dell’Italia.

Il titolo terzo della Legge fondamentale della Repubblica è una sorta di Bibbia laica: esso ha colmato, in via strutturale, un vuoto abissale che caratterizzava lo Statuto Albertino, la principale legge ordinaria del Regno rimasta nominalmente in vigore sino alla fine del secondo conflitto mondiale in mezzo alle note tumultuose e tragiche vicende. Proprio i deficit nel merito dello Statuto, che resero necessarie norme volte a contrastare gli effetti del crollo borsistico americano del 1929, indussero i nostri Padri costituenti a costituzionalizzare, una volta per tutte, il principio di tutela del risparmio.

E come si tutela il risparmio, se non tramite l’educazione e la sensibilizzazione di chi lo detiene? Se scorriamo, in maniera coordinata, i vari dispositivi e commi del titolo terzo, ci rendiamo conto di come l’esigenza di una prescrittiva educazione finanziaria sia tale da permeare la generalità degli stessi. L’articolo 47 stabilisce, senza perifrasi, che il risparmio diffuso e popolare deve essere incentivato e incoraggiato verso una serie di ben precisi obiettivi: incentivare l’acquisto della proprietà abitativa e della proprietà diretta del fondo agricolo (e la crisi delle materie prime energetiche e rurali ci comunica la stringente attualità del dettato); e incoraggiare, attenzione, il diretto e indiretto investimento, quindi tramite fondi comuni, nei grandi complessi produttivi del Paese.

Dunque, occorrono interventi che assicurino la democraticità del mercato dei capitali e la trasparenza delle offerte ai risparmiatori per promuovere formule di public company e di azionariato collettivo in grado di incidere sulle politiche industriali micro e macro economiche: esattamente ciò che è mancato nei piani di privatizzazione dagli anni Novanta del secolo scorso fino ad ora.

Leggiamo infine insieme il precedente articolo 46: “Ai fini della elevazione del lavoro, e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica (quindi lo Stato, più le Regioni, più gli enti locali, ndr) riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Una norma che prelude a formule come l’azionariato dei dipendenti o la compartecipazione ai risultati d’impresa, all’origine delle quali l’educazione finanziaria è un passaggio irrinunciabile per favorire una crescita non inflazionistica dei redditi da lavoro e un più armonioso rapporto tra utili d’impresa e livelli retributivi: la soluzione all’attuale dilemma di prezzi e tariffe non più sostenibili dalle nostre famiglie.

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