Patuelli e Giorgetti, alleanza anti-austerity; e intanto Meloni tiene il punto sul Mes

Il Presidente dell’associazione bancaria italiana e il Ministro dell’economia e delle finanze, nell’ambito dei rispettivi ruoli, hanno espresso, anche in termini letterali, una netta identità di vedute nei confronti dei rischi innescati da una politica monetaria esclusivamente protesa al perseguimento asettico della stabilità dei prezzi ai sensi del trattato di Maastricht.

È tempo di archiviare il monetarismo rigorista che, se portato all’eccesso, e se protratto anche in presenza di cali evidenti nel livello generale dei prezzi favoriti dalla diminuzione delle quotazioni del gas, può condurre, così come sta conducendo, a una crescita dei livelli di sofferenza di famiglie e imprese nella restituzione di mutui e prestiti.

È stato il Presidente Patuelli, a capo dell’ABI e del gruppo cassa di risparmio di Ravenna, a lanciare il primo allarme sulla base delle risultanze del più aggiornato report dell’associazione relativo a un ritorno delle sofferenze creditizie a livelli importanti, ancora più preoccupante se si considera che lo stesso è avvenuto in un contesto contrassegnato dalla dismissione, da parte del settore bancario, di un ampio stock di crediti deteriorati.

Con riferimento al mese di febbraio – ha ricordato il massimo rappresentante associativo dei Banchieri italiani, nel corso del proprio intervento al Roma investment Forum promosso dalla federazione europea FEBAF – le sofferenze sono aumentate di un miliardo di euro al confronto con il precedente mese di gennaio.
Il che rappresenta un segnale del fatto che l’Italia, così come l’Europa aderente alla moneta unica, si erano abituate per dieci anni a una politica tendente al mantenimento di tassi tendenti allo zero.

Il mutamento di scenario sul costo del denaro, intervenuto a partire dallo scorso mese di luglio a opera della BCE e della sua Presidente Christine Lagarde, se da una parte ha incentivato un maggior numero di risparmiatori a preferire i titoli di Stato e le obbligazioni ai classici conti correnti, dall’altra ha inciso sulla capacità di restituzione dei prestiti soprattutto da parte dei titolari di mutui a tasso variabile, sebbene questi ultimi rappresentino soltanto un quarto del totale di quelli in corso, in maggioranza contratti a un saggio di interesse fisso.

La vera preoccupazione, semmai, è sull’altro fronte, quello delle aziende. Il presidente dell’ABI, a questo proposito, ha auspicato, fin dall’inizio dell’anno, che il governo Meloni dia seguito a una moratoria ulteriore a sostegno delle numerose imprese attualmente in difficoltà. Secondo Patuelli, questa soluzione è preferibile a ipotesi di tipo diverso che porterebbero a una crescita eccessiva del grado di indebitamento e delle successive difficoltà a fronteggiare lo stesso.

Oramai combattere l’inflazione con la politica monetaria non è più sufficiente. La recessione non può essere il prezzo che dobbiamo pagare per contrastare il rincaro dei prezzi. Lo ha ribadito il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, nel corso del Forum Ambrosetti in corso a Cernobbio. Analogamente al punto di vista del Presidente dell’ABI, l’esponente del governo Meloni, e prima ancora dell’esecutivo di Mario Draghi, ha ricordato la circostanza dell’andamento discendente delle quotazioni dell’energia, ma ha sottolineato allo stesso tempo le preoccupazioni del proprio ministero nei confronti della perdurante crisi al rialzo dei listini della spesa alimentare gravante sulle famiglie. Una situazione, quest’ultima, che potrebbe rendere necessario un diretto intervento politico con strumenti di calmierazione diretta o indiretta, da attuarsi con regimi di prezzi amministrati o con strumenti di tipo fiscale o sussidiario. Gli stessi per i quali servirebbero regole di bilancio molto diverse sia dalle attuali, sia da quelle che si vanno profilando a opera della Commissione von der Leyen su sostanziale dettatura dei nordici.

E qui si apre il secondo fronte, inseparabile da quello fin qui descritto: la ratifica del trattato di riforma del Mes a cui l’Italia è chiamata come ultimo Paese mancante all’appello del recepimento definitivo del meccanismo del fondo salva Stati.

Dopo avere detto di no alla linea di finanziamento espressamente dedicata alla sanità, e risalente all’epoca della prima ondata della pandemia da coronavirus, la prima Premier donna dell’Italia ha lanciato un avviso a Bruxelles: l’assenso del nostro Paese al “nuovo Mes” scatterà soltanto dopo che la Commissione UE avrà messo a punto una revisione del patto di stabilità con regole di bilancio più orientate alla crescita e meno cristallizzate su stabilità e austerità.

Dopo le esperienze di Grecia e Cipro, il Mes ha pressoché totalmente mutato i propri assetti di fatto, grazie a una governance improntata alla funzione originaria del meccanismo comunitario sorto a seguito delle crisi globali dei mutui derivati da oltre Atlantico: la funzione, cioè, di procacciare risorse sui mercati internazionali a condizioni economiche di particolare vantaggio, con la leva della garanzia del capitale versato dagli Stati aderenti, in modo da assegnarle al Paese che, a causa delle proprie difficoltà di bilancio, ne abbia fatto richiesta, ricevendo da quest’ultimo l’equivalente in una speciale emissione di obbligazioni del debito pubblico a tasso calmierato e con modalità di restituzione più spalmate nel tempo.

L’avvento del quantitative easing e dei tassi zero, con Mario Draghi alla presidenza della BCE, aveva indotto i governi della zona dell’euro, di ogni colore politico, a mettere in naftalina il Mes, a favore dell’opzione, politicamente e finanziariamente più vantaggiosa, rappresentata dagli acquisti massivi della Banca centrale di Francoforte.

La fase post pandemica, l’avvento dell’alta inflazione e la guerra russa in Ucraina hanno mutato questo quadro macro, imponendo l’adozione di strumenti diversi o radicalmente riformati. Cosicché la revisione del meccanismo europeo di stabilità, dopo il freno imposto fino a qualche mese fa dalla Germania – e rimosso dalla successiva pronuncia della Corte costituzionale tedesca – ha come pilastro l’ulteriore avanzamento del processo di unione bancaria a livello continentale, attraverso un fondo di garanzia unitaria sui depositi, e attende la decisione di ratifica da parte del Governo Meloni e della sua maggioranza parlamentare a Roma.

Circostanza quest’ultima che rimane tutt’altro che scontata: quello di palazzo Chigi, e del dicastero del MEF, non è un diniego assoluto o granitico, ma un mezzo per accrescere il potere negoziale dell’Italia sull’altro tavolo della riscrittura del patto di stabilità e crescita, prima del radicale ritorno, dal prossimo anno, delle regole di bilancio previgenti alla pandemia e sospese con effetto dalla primavera del 2020.
Lo scenario oramai preelettorale in cui si muovono i Paesi, tutto orientato al rinnovo del Parlamento di Strasburgo fra 14 mesi e alla formazione della Commissione che ne scaturirà di conseguenza – e che il Governo Meloni vorrebbe retta da una inedita coalizione fra popolari e conservatori con i socialisti all’opposizione – sembrerebbe avallare l’atteggiamento in apparenza inamovibile della nostra Premier. La quale chiede, anche per poter fare fronte ai crescenti oneri dell’attuazione del PNRR, una maggiore e più strutturale flessibilità da perseguire tramite lo scorporo totale degli investimenti, e della spesa pubblica anche corrente a questi connessa (leggi: assunzioni nella pubblica amministrazione), dal computo dei parametri di deficit e di debito pubblico in relazione al PIL.

Dopo l’esito delle elezioni politiche di questa domenica in Finlandia, che hanno segnato la sconfitta della giovane Premier socialista Sanna Marin, spianando la via a una coalizione governativa molto simile a quella svedese, le ambizioni di Giorgia Meloni potrebbero trovare nuovi alleati. Non deve però essere dimenticato che gli interessi nordici, a prescindere dall’indirizzo politico amministrativo di chi governa, non coincidono a prescindere con quelli euro mediterranei; e le decisioni sulle case green e sullo stop alla vendita dei motori termici per auto, assunte proprio mentre è in corso la presidenza della UE in capo alla Svezia, ne sono la conferma più lampante.

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