Sia chiaro che il collegamento tra le varie situazioni esiste, ma esso è dovuto più a fattori mentali che non, talvolta, a reali significative interconnessioni costituite da partecipazioni azionarie o da provviste obbligazionarie o finanziarie in atto fra gli istituti di cui si parla.
Che cosa è successo, in sostanza, pertanto? È accaduto che la vicenda del Credit Suisse, e le modalità della sua acquisizione da parte dell’Unione di banche Svizzere – orchestrata dal governo e dal governatorato della banca centrale della confederazione elvetica – è stata utilizzata da alcuni professionisti delle manovre giocate al rialzo per creare un clima da panico intorno a determinate categorie di titoli obbligazionari e derivati facenti capo a Deutsche Bank: tipologicamente gli stessi, per inciso, oggetto della clamorosa svalutazione decretata per il Credit in Svizzera per un valore di ben 17 miliardi.
Panico seminato e purtroppo attecchito sebbene le autorità UE e BCE si fossero fin da subito affrettate a puntualizzare che il diverso e più rigoroso ordinamento comunitario, vigente nell’Unione Europea, non permetterebbe mai un episodio come quello deliberato dalle istituzioni politico monetarie di Berna. Ma tant’è: le paure di assistere a una insolvenza sulle obbligazioni, di competenza del colosso tedesco, a maggior tasso remunerativo (e dunque rischioso), ha portato ai valori massimi le quotazioni dei cosiddetti CDS, i Credit default swap. Questi ultimi altro non sono che una sorta di polizza assicurativa volta a coprire l’eventualità peggiore, quella che l’istituto di credito emittente i titoli principali non sia più in grado di ripagarli.
Si dice, in frangenti di questo tipo, che è stata vinta una “scommessa” che, nel bene oppure (come nel caso in specie) nel male, era stata intentata attraverso la stipulazione di un preciso “derivato”. Quest’ultimo può andare incontro a sviluppi, e a un epilogo, fonte di enormi guadagni così come di ingenti perdite.
Al pari di un altro genere di operazioni bancarie in voga dagli inizi del duemila: i finanziamenti a leva o, in gergo anglofono, leverage. Essi consistono sempre in una scommessa, quella di mettere a segno un determinato livello di rendimento, sul mercato finanziario, vincolando una quantità di capitale inferiore a quella che occorrerebbe stanti le quotazioni normali vigenti fino a quel momento. Inizialmente immaginate come strumento per svincolare una parte di capitali detenuti in stock, così da poterla indirizzare verso gli altri ordinari finanziamenti – e non dovere perciò stesso subire contraccolpi nei flussi dei ricavi – , le operazioni di leverage hanno finito con il manifestare crescenti profili speculativi oscillando continuamente fra la prospettiva di conseguire sì una determinata rilevante somma, preceduta però da un segno più o da un segno meno.
Tornando quindi alla vicenda della Deutsche Bank, sempre venerdì scorso – in occasione del Consiglio europeo che era stato convocato da Charles Michel e Ursula von der Leyen per discutere di immigrazione e riforma del patto di stabilità (per farne un patto di crescita) – il Cancelliere berlinese Olaf Scholz, incassando la solidarietà dei colleghi capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi UE, si è dovuto affrettare a dichiarare che l’istituto simbolo del settore bancario della Germania (e con presenze e insediamenti piuttosto significativi pure in Italia), dopo la fase cruenta della ristrutturazione e della riorganizzazione deliberate nel 2019, “ha modernizzato e risanato radicalmente il proprio business, e oramai è una Banca redditizia e profittevole”. Dichiarazione che trova conferma nei conti a consuntivo e nelle analisi di enti di valutazione, muniti di indipendenza, che ne hanno certificato il basso livello di connessione con profili di rischiosità viceversa prevalenti in altre situazioni sui mercati internazionali e mondiali.
Se da un lato l’episodio che ha colpito l’istituto di credito di Francoforte sul Meno è uno sprone ad accelerare verso quella Unione bancaria europea dai più invocata – la cui necessità (al netto dei dubbi sulla ratifica del trattato di riforma del meccanismo di stabilità Mes) è oramai riconosciuta dallo stesso Governo Italiano in carica – dall’altro, e nel frattempo, il rafforzamento immediato delle basi di educazione finanziaria è il rimedio migliore per non cedere alle sirene dei professionisti del “panic selling” (panico da vendita) orientati a scommettere sui fallimenti di mercato.
Leggendo i Manuali più recenti – da Abbecedario a Bignamino – redatti dal Banchiere internazionale Beppe Ghisolfi – ed editati da Nino Aragno – si può entrare in familiarità con espressioni come derivati o swap, la cui conoscenza è precondizione per non alimentare involontariamente il giogo dei professionisti del maneggio di titoli a elevata rischiosità; e per basare una programmazione del proprio risparmio sui reali fondamentali degli istituti o delle istituzioni finanziarie nelle quali si va a investire prudenzialmente.
Se un adagio dice che tutto il mondo è Paese, con riferimento all’Europa non tutto il Continente lo è. E qui il nostro riferimento è all’Albania, Paese apripista dei Balcani occidentali dallo scorso luglio in negoziato ufficiale per l’ingresso in UE.
In tale Nazione vige il Lek, moneta distintiva del Paese delle Aquile che ha conseguito un ulteriore rafforzamento nei confronti dell’euro (e del dollaro statunitense), consentendo all’economia locale di ridurre il servizio del debito pubblico e i costi delle importazioni, soprattutto di energia, e ciò senza danneggiare le esportazioni albanesi, in crescita anzi verso UE e USA.
La decisione di elevare il tasso di riferimento dal 2,75 al 3 per cento, dopo un lungo periodo di mancati aumenti da parte del consiglio di sorveglianza della Banca centrale di Tirana, è stata assunta e comunicata dal Governatore, Gent Sejko, con la motivazione della necessità di ricondurre l’inflazione verso i livelli preesistenti lo scoppio della guerra russa in Ucraina, senza tuttavia deprimere le aspettative diffuse di un tessuto economico reale dai fondamentali solidi e destinato a confermare tassi positivi di crescita per i prossimi trimestri di osservazione: e ciò in linea con le previsioni e proiezioni sia dell’istituto centrale di emissione, sia delle autorità di governo, in quel clima ecosistemico di coordinamento fra politiche economiche, fiscali e monetarie alla base dell’obiettivo di armonizzare stabilità finanziaria e ripresa produttiva e occupazionale.
Il dato rilevante è che l’inflazione in territorio albanese è generata anzitutto dalla domanda interna: il rafforzamento del Lek, determinato dai trasferimenti delle famiglie emigrate all’estero e dagli afflussi di valuta pregiata sospinti dal turismo e dagli investimenti europei e transatlantici, permette di calmierare i costi delle materie prime di importazione, e nello stesso tempo i livelli di ottimismo nei confronti del futuro prossimo portano a domandare più consumi interni; questi ultimi aiutati da meccanismi salariali che, pur restando ampiamente competitivi con quelli della Eurozona, crescono in corrispondenza dei livelli di qualificazione professionale e di produttività e della necessità di evitare i rischi di una eccessiva migrazione di capitale umano verso altre Nazioni. Quindi, se in parte gli incrementi retributivi sono assorbiti dal maggiore impegno produttivo del lavoro, per la parte potenzialmente generativa di inflazione il compito della banca centrale è di agire con ragionata flessibilità attraverso i tassi di riferimento.
Il Governatore Sejko ha rimarcato che l’inflazione domestica sta scendendo verso il 7 per cento, grazie all’impegno delle istituzioni governative a stabilizzare ai livelli “pre-guerra” il prezzo della bolletta elettrica su famiglie e piccole imprese, e ulteriori cali sono attesi per il prosieguo dell’anno in corso e la prima parte del prossimo.
Il numero uno della Banca centrale d’Albania ha evidenziato, inoltre, che il settore bancario e creditizio del Paese gode di alti requisiti di solidità patrimoniale e di liquidità, in ciò confermando l’importanza dell’educazione e della consapevolezza finanziaria come fattore utile a evitare l’insorgenza di fenomeni di panico analoghi a quelli che si stanno purtroppo verificando tra USA, Svizzera e UE.
Lo stato di salute degli istituti di credito commerciali e al dettaglio, in virtù delle operazioni di fusione e aggregazione che hanno interessato il mercato bancario negli anni più recenti, ha permesso di accrescere la raccolta del risparmio delle famiglie e la sua finalizzazione a progetti di impiego e di prestito verso famiglie e settori imprenditoriali.
Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti