“Rilanciare le CCIAA per rimettere in pista 48.000 PMI e far crescere l’export di ulteriori 40 miliardi”

La ricetta delle Camere di commercio per rafforzare la competitività e il protagonismo dell’Italia la cui capacità di esportazione rimane un fattore differenziale decisivo e in grado di riassorbire i gap – sui quali comunque si dovrà intervenire – connessi ai maggiori oneri energetici e di sistema.

Il dato è emerso dall’audizione che il Segretario generale dell’ente associativo camerale, Giuseppe Tripoli, ha svolto più di recente alla commissione Attività produttive della Camera dei deputati, nel contesto dell’avvio dell’iter di ricognizione sugli strumenti di incentivo e di sostegno alle imprese, nell’ottica di migliorare il livello di efficacia degli stessi nei confronti degli obiettivi di raggiungimento di ulteriori quote di mercato.

Le indicazioni del massimo dirigente del sistema delle CCIAA sono state di assoluta utilità nel mettere in evidenza come da una rivalutazione del ruolo di questi enti funzionali – sintesi delle associazioni di categoria e dei consumatori su base provinciale – potrebbe discendere una seria e concreta strategia per mettere oltre 40.000 piccole e medie realtà produttive italiane nella condizione di aggiungersi in maniera stabile e a pieno titolo al novero della platea dei campioni delle esportazioni delle nostre eccellenze produttive.

Non è casuale che il calo del numero delle aziende esportatrici abbia avuto inizio nell’anno di entrata in funzione della legge dell’allora Governo Renzi di ridisegno delle Camere di commercio, ridisegno coinciso con il depotenziamento e de-finanziamento delle stesse: dal 2016 in poi, le realtà orientate alla proiezione commerciale sui mercati esteri sono calate da 127.000 a 123.000, poiché a venire meno è stato l’apporto dei soggetti di dimensioni più piccole e meno strutturate nei confronti della complessità di mercati d’oltre frontiera la cui mappatura si è andata ulteriormente modificando a seguito delle emergenze recenti.

Emergenze le quali rappresentano però nello stesso tempo delle opportunità tutt’altro che trascurabili per il pubblico delle PMI, grazie alla riscoperta di mercati di prossimità come quelli balcanici che consentono forme di globalizzazione più alla portata, e non meno strategiche di quelle a lunga gittata, anzi.

Ecco, pertanto, l’assoluta e non più trascurabile attualità del ruolo delle Camere di commercio come enti di facilitazione delle capacità di export tuttora inespresse nei territori di rispettiva competenza.

Le rilevazioni evidenziate dal Segretario generale Tripoli non lasciano spazio a dubbi: “Vi sono attualmente – ha dichiarato ai deputati della commissione attività produttive di Montecitorio – dalle 44.000 alle 48.000 aziende che potrebbero esportare e non lo fanno, e ciò determina un minore valore aggiunto al nostro export nell’ordine di almeno 40 miliardi, pari al 7 per cento del totale. Una quota, rilevante ai fini del PIL complessivo del nostro Paese, alla quale non possiamo permetterci di rinunciare di questi tempi”.

Nel corso del 2022, le vendite estere messe a segno dall’azienda Italia sono salite a un totale da record di 624 miliardi di euro, in pratica 100 miliardi in più al confronto con il 2021, assorbendo il possibile svantaggio competitivo legato alla relativamente maggiore incidenza degli oneri produttivi a partire da quelli energetici.

Una tendenza che deve fare comprendere a tutta la filiera dei decisori della politica economica, centrale e locale, l’importanza di tornare a fare crescere l’area delle imprese in grado di proporsi ai mercati esteri con l’autorevolezza di un’offerta produttiva sostenuta sul piano istituzionale.

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