Il capo di Bankitalia, già in passato cautamente critico nei confronti della numero uno di Francoforte, a causa delle modalità di comunicazione di quest’ultima ai mercati finanziari, è tornato più di recente a esprimere il proprio scetticismo nuovamente verso la presidente della BCE, in merito all’annuncio di prossimi ulteriori rincari nei tassi di riferimento.
Manovra destinata, ove fosse messa in pratica, a tradursi in un maggiore costo del denaro al dettaglio, con effetti sia sui mutui a tasso variabile, sia anche su quelli a tasso fisso, la cui accresciuta domanda da parte della clientela potrebbe comportare un incrementato onere delle commissioni bancarie.
Va precisato infatti che la vigente legge di stabilità del governo Meloni per l’anno in corso ha introdotto un meccanismo, a favore dei mutuatari per facilitare il passaggio dal regime del variabile a quello del fisso, con una serie di paletti – dall’entità dell’importo residuo del mutuo al livello ISEE del suo titolare – che non rendono universale tale possibilità.
Il monito di Ignazio Visco non arriva casualmente, bensì giunge dopo quanto si è verificato a seguito delle evidenti asimmetrie tra il saggio di inflazione rilevato da Eurostat e quello accertato dall’istituto di statistica olandese. L’Olanda, in effetti, aveva sovrastimato all’inizio la variazione al livello generale dei prezzi, alterando l’intero conteggio medio europeo e portando i deliberanti di Francoforte ad accelerare sulla linea del rigore monetario e delle più ortodosse dottrine monetariste, salvo poi appurare che – al netto delle componenti connesse alle commodities alimentari e grazie agli effetti benefici del price cap sul metano – i livelli inflattivi del periodo considerato erano assai più contenuti.
Il nostro governatore di Via Nazionale ha quindi esortato Lagarde a una maggiore prudenza nel proseguimento delle strategie tese a promuovere il tendenziale ritorno a un tasso d’inflazione al due per cento – ex trattato di Maastricht – poiché tale trend sembra destinato a realizzarsi in maniera più spontanea, così da riassegnare alla Banca centrale europea un ruolo più proattivo nella creazione di condizioni più favorevoli a riattivare una domanda per consumi delle famiglie, allineata a migliori livelli di produttività, e una domanda per investimenti aziendali orientati alla modernizzazione di processi, prodotti e linee di lavorazione.
Il governatore Visco ha allo stesso tempo invitato le aziende a portare avanti politiche finalizzate al reinvestimento degli utili, e le organizzazioni dei lavoratori a condurre negoziati per ancorare le pretese salariali alla reale capacità produttiva, sollecitando la parte pubblica a varare politiche fiscali di sostegno ai redditi più bassi e di detassazione premiale a favore dei ceti medi.
Esattamente gli obiettivi promessi dal governo Meloni, e dal viceministro del dicastero del MEF Maurizio Leo delegato dalla premier alla riforma tributaria, attraverso la revisione degli scaglioni reddituali della base imponibile Irpef, con interventi concentrati in particolare sulla forbice tra i 15.000 e i 50.000 euro annui lordi entro i quali si situa la grandissima maggioranza dei contribuenti italiani.
Perché, se l’inflazione è una odiosa tassa di fatto sui consumatori e sui risparmiatori a più alto rischio di marginalità, non di minore intensità è la tassa impropria rappresentata dalle più onerose condizioni che i cittadini, privi di sufficiente liquidità propria, devono affrontare per prenderla a prestito dal settore bancario o del credito al consumo.
Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti