BCE, cresce l’incubo di tassi alle stelle. E di una “doppia tassa” su famiglie e PMI vulnerabili

L’avvio dell’estate, oltre che dalle incertezze alle porte orientali dell’Europa, potrebbe essere funestato da un rincaro dei tassi di riferimento della banca centrale fino al 4 per cento, pur a fronte di una inflazione che, al netto delle componenti connesse all’energia e alle materie prime alimentari, resta al di sopra dell’asticella del 5.


Sono le proiezioni dell’ufficio studi di Goldman Sachs a delineare la fosca previsione, e le comunicazioni non discordanti che arrivano dalla Eurotower di Francoforte presidiata da Christine Lagarde – e sulle quali si è espresso criticamente il nostro governatore Ignazio Visco per gli effetti turbolenti sulla stabilità dei mercati dei capitali – altro non fanno se non denotare una mancanza di univocità nel direttivo della BCE.

L’istituto di emissione centrale della moneta unica, dallo scoppio della pandemia a quello del conflitto russo ucraino, ha attuato in maniera palesemente poco o per nulla coordinata la fuoriuscita dalla politica dei tassi negativi verso una fase di necessari tassi positivi al di sopra dello zero per contrastare una spirale inflattiva che, sebbene di importazione e quindi in gran parte esogena, finisce con il provocare una serie consequenziale di aumenti domestici ai listini all’ingrosso e al minuto.

Sono gli stessi banchieri olandesi, espressione di un Paese notoriamente austero e frugale (specialmente verso l’Italia e l’Europa mediterranea), a sottolineare quanto possa essere insolito un atteggiamento tanto repentinamente aggressivo da parte dei vertici della BCE, seppure gli stessi abbiano dovuto fare fronte prima al passaggio delle consegne da Mario Draghi a Lagarde e poi alla doppietta delle emergenze globali sanitarie e belliche non previste alla fine del 2019.

Il team della banchiera di origini francesi, subentrata al più illustre degli Italiani poi salito a palazzo Chigi, tenderebbe a motivare la propria scelta di tassi sostenuti dal breve al medio periodo, con i riflettori accesi sulla fase del negoziato economico della contrattazione collettiva di lavoro in corso in vari Paesi europei strategici – dall’Italia alla Germania all’Olanda – e nell’ambito della quale le rappresentanze sociali del lavoro dipendente puntano a ottenere aumenti retributivi medi in grado sia di assorbire la lievitazione dei prezzi di alimentari ed energia, sia di remunerare la produttività.

Ciò in antitesi a quanto voci autorevoli come quella del governatore Visco hanno sempre dichiarato, e che vanno nel senso sì di aumenti in busta paga, ma strettamente connessi al miglioramento delle capacità tecnologiche e produttive, mentre ulteriori azioni di sostegno monetario al potere d’acquisto delle famiglie vanno indirizzati in via esclusiva e in forma temporanea ai redditi medio bassi e alle categorie più vulnerabili.

Orientamento motivato dalla prevista circostanza che aumenti salariali generalizzati, del tutto o in parte sganciati dagli scenari produttivi aziendali, verrebbero trasferiti dalle aziende, datrici di lavoro, sui prezzi al consumo, rendendo di conseguenza meno contrastabile – tornando a una politica di tassi accomodanti o non eccessivamente onerosi come quelli auspicati dall’economista Panetta più propenso a collegare economia monetaria e reale – una “inflazione ibrida” tra componenti endogene e componenti importate.

Come è stato ricordato a più riprese, se è vero – come dichiarato da Ignazio Visco – che l’azienda Italia è in grado di affrontare una fase non breve di tassi alti, grazie alla solidità acquisita dal settore bancario, è altrettanto doveroso specificare che, per quanto gli effetti del maggiore costo del denaro non influiscono sul debito sovrano non ancora scaduto, ripercussioni molto significative possono verificarsi sui mercati secondari e sulle nuove emissioni di titoli obbligazionari statali e garantiti dallo Stato, in una fase peraltro di accresciuta concorrenza nell’offerta di bond pubblici e privati accompagnati dalle promesse delle istituzioni emittenti di rendimenti capaci di coprire la maggiore inflazione e di tutelare il potere d’acquisto dei risparmi liquidi.

Deve essere inoltre considerato, in ultima istanza, che eccessive pressioni sul costo del denaro potrebbero vanificare, quanto meno in parte, gli sforzi che istituti di credito e associazioni imprenditoriali stanno mettendo in atto per cercare di fare correggere e ammorbidire il più recente decreto governativo in tema di super eco bonus con il quale sono stati soppressi i meccanismi dello sconto in fattura e della cessione dei crediti d’imposta: alti tassi ridurrebbero infatti fortemente la quota capitale concedibile – in caso di accoglimento delle proposte migliorative in campo – a nuclei familiari e imprese affidatarie più vulnerabili ai rincari intervenuti sulle materie prime e destinati a essere resilienti alle politiche monetarie anche le più restrittive.

Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti

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