Superbonus o maxidebito? Eurostat mette la Meloni in difficoltà, ma Regioni e Province fanno shopping di crediti edilizi

A oggi Treviso, Sardegna, Basilicata e Piemonte hanno già formalizzato l’intenzione di acquisire i titoli dei super eco bonus nei limiti massimi delle rispettive capienze fiscali. Per questo servirebbe una norma nazionale che incentivasse tutti gli enti territoriali nella stessa direzione. Ci mancava anche la statistica. Forse non aveva tutti i torti chi diceva, come Mark Twain, che le scienze statistiche rientrerebbero in una scala di gravità crescente dopo le bugie normali e le bugie dannate.

E sembra una dannazione quella in cui incappa, fin dalla propria istituzione con il decreto Conte bis (cd legge Fraccaro), il famoso credito d’imposta pensato per rilanciare l’edilizia diffusa nella fase post pandemica con il rilascio di una moneta fiscale utilizzabile da chi non dispone della liquidità propria sufficiente a intraprendere interventi di ristrutturazione, isolamento, efficienza e risparmio energetico, sicurezza antisismica.

Iniziativa lodevole, per alcuni versi indicata come innovativa perfino dalla Commissione europea, solitamente poco incline a elogiare provvedimenti espansivi varati dai Governi italiani, ma poi tradottasi in una serie di abusi all’atto applicativo che hanno finito con il mettere in cattiva luce l’intero impianto dello strumento agevolativo, portando il successore di Conte a palazzo Chigi, Mario Draghi, a introdurre un pacchetto di limitazioni seriali con l’obiettivo di ridurre numericamente le possibilità di cessione del credito e di rendere i singoli passaggi più verificabili, soprattutto dal punto di vista di chi acquista (cessionario).

A un certo punto, l’ipertrofia legislativa e normativa (si vedano le circolari applicative di agenzia delle entrate) si è tramutata in un disincentivo alla circolazione e quindi alla monetizzazione dei crediti, e i paletti alle successive cessioni hanno comportato la decisione delle banche e degli intermediari finanziari – categoria privilegiata di cessionari poiché in possesso di maggiori informazioni sulla affidabilità dei cedenti – di non accettare più ulteriore moneta fiscale edilizia poiché superiore al già raggiunto limite della possibilità per gli istituti di credito di portarla in detrazione nei rispettivi bilanci.

Sullo sfondo di questo scenario, entra in gioco la statistica. Quella europea comunitaria di Eurostat, la quale classifica il bonus al 110% niente meno che come super debito, riducendo ulteriormente gli spazi di manovra – in senso generale, non solo con riferimento al capitolo in questione – per il bilancio statale italiano.

La chiave di interpretazione di Eurostat è tanto banale quanto micidiale: fino a che un credito fiscale continua a circolare, poi a un certo punto si incaglia perché non può più essere portato in detrazione a causa del raggiungimento del livello massimo di capienza, e inizia così a venire respinto dai potenziali cessionari, allora concorre a fare crescere ancora il pachiderma del debito pubblico italiano.

Questo perché a un certo punto, per impedire il collasso di una parte importante dell’economia domestica, dovrà essere lo Stato, quindi palazzo Chigi e il dicastero del MEF, a individuare le risorse con cui compensare e ristorare coloro che effettivamente avevano in precedenza avviato i lavori e si ritrovano con crediti che non riescono più a collocare a causa dell’ingorgo di cui sopra.

Ecco qui entrare in scena le Regioni e le tanto vituperate Province, le quali ultime grazie al Pnrr – e alla circostanza che i singoli Comuni di dimensioni medio piccole non riescono a sobbarcarsi tutto l’onere della progettazione degli interventi da finanziare con il recovery plan – stanno recuperando una forte credibilità a livello popolare e istituzionale dimostrata dall’intenzione, certificata dallo stesso Governo Meloni, di ripristinare l’elezione diretta del Presidente e del Consiglio provinciale, abolita dalla famigerata legge Delrio dieci anni fa, epilogo dei tagli lineari del governo Monti che nel 2012 si abbatterono in misura proporzionalmente maggiore sugli enti territoriali cd intermedi.

Adesso le Province si riscoprono in credito con lo Stato: non soltanto perché attendono il saldo di precedenti trasferimenti erariali messi a bilancio ma non ancora concretamente arrivati dai vari Governi susseguitisi, ma altresì perché hanno i fondi cassa bloccati a causa dei limiti di spesa imposti dalle leggi di stabilità di tutti i colori politici dal 2012 in poi.

Adesso proprio le Province, a partire da Treviso, hanno dimostrato di essere centrali ai fini non solo della fattibilità di molti punti del Pnrr – basti pensare all’edilizia scolastica, ai servizi per l’impiego, alla viabilità – ma altresì della ripresa e del salvataggio dei crediti fiscali in edilizia: questi ultimi vengono infatti acquistati, a un valore di cessione più basso del valore nominale (con conseguente risparmio di spesa), e successivamente sono portati a detrazione degli oneri tributari che quelle amministrazioni territoriali hanno maturato nei confronti dello Stato.

L’acquisto dei super eco bonus si realizza senza alcun esborso monetario per l’ente locale, poiché l’operazione viene compiuta, attraverso un accordo con istituti di credito, nel pieno rispetto dei limiti massimi consentiti dal cassetto fiscale dello stesso, quindi già con la detraibilità fiscale garantita in tasca.

A fungere da apripista, si diceva prima, è stata la Provincia veneta di Treviso, seguita dalla Regione autonoma a statuto speciale della Sardegna e quindi dalla Regione lucana della Basilicata, alla quale si è più di recente aggiunta la Giunta regionale del Piemonte che, con il proprio governatore Alberto Cirio, ha stimato di poter acquistare titoli da super eco bonus fino a un massimo di 50 milioni annui, alle condizioni secondo cui tali crediti non siano oggetto di contenzioso e facciano riferimento a interventi edilizi azionati nei rispettivi territori.

È sorta quindi una buona, anzi buonissima prassi, che merita di essere codificata in una legge di indirizzo generale alla quale peraltro si sta già pensando: invitare ciascuna amministrazione territoriale (Regioni, Province, Comuni, Camere di commercio) a operare un riepilogo della propria capienza fiscale e del proprio margine massimale di detraibilità, con l’obiettivo di fissare il contributo che può essere apportato da ognuna di esse al fine di trasformare la moneta fiscale in edilizia, non gravata da dispute legali, in un attrattore di investimenti edilizi riqualificativi a elevato impatto locale, passaggio ancora più decisivo in ragione della necessità di aderire al piano casa green della commissione UE che, per quanto sarà mitigato dall’opposizione italiana, renderà comunque necessari interventi volti a ridurre le emissioni inquinanti e a favorire la resilienza dei fabbricati di fronte agli eventi naturali.

Non solo: il ruolo delle Regioni e delle Province potrebbe diventare strategico su un altro parallelo versante, quello del monitoraggio della sicurezza negli ambienti di lavoro nei cantieri oggetto dei titoli di super eco bonus interessati dalle operazioni di acquisizione.

Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti

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