Un quesito che, per quanto ognuno di noi cerchi di rimuovere psicologicamente, non può non essere affrontato, quanto meno per ragioni di ordine preventivo. E al quale ha cercato di fornire una risposta razionale il Professor Gian Michele Calvi, accademico e ordinario di tecnica delle costruzioni a Pavia e fondatore della scuola per la comprensione e la gestione dei fenomeni estremi.
Il Professor Calvi parte dalla premessa di una molto bassa probabilità in ordine alla verificazione di un evento sismico tanto grave nel nostro Paese; egli richiama alla memoria un evento dimenticato dai più ma che appare necessario ricordare al fine di richiamare il valore della prevenzione e dei giusti e corretti investimenti per poter gestire nel miglior modo gli effetti di un sisma ipotizzato alla massima violenza.
Il Professor Calvi, in una intervista rilasciata al magazine online “In Genio”, ricorda che, mentre Turchia e Siria sono state scosse da un evento di magnitudo 7.8, nel 1908 lo stretto di Messina tremò con una magnitudo intorno a 7.1.
Vale pertanto ricordare che cosa accadde all’inizio dello scorso secolo, precisamente il 28 dicembre 1908, quando erano da poco passate le ore 5 dell’alba: gli abitanti di Messina e di Reggio Calabria vennero svegliati da uno scossone tellurico di proporzioni impressionanti, stimato in una magnitudo di 7.25, pari all’undicesimo grado della scala Mercalli, che funestò in misura drammatica la città di Messina dove crollarono addirittura nove edifici su dieci.
Fu l’evento catastrofico naturale più grave mai accaduto non solo in Italia ma addirittura in Europa a memoria d’uomo.
Messina subì la perdita di 80.000 vite umane e Reggio Calabria pianse 15.000 vite spezzate. Il sisma fu accompagnato e seguito da un maremoto, e le scosse di assestamento si ripeterono fino a marzo del 1909. Anno in cui il Senato del Regno d’Italia promulgò una relazione che testualmente parlava di tragedia per l’intera umanità: “Un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime e care province, abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura dell’umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità. È la pietà dei vivi che tenta la rivincita dell’umanità sulle violenze della terra. Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro, né preciso il concetto della grande sventura, né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere. Sappiamo che il danno è immenso, e che grandi e immediate provvidenze sono necessarie”.
All’epoca era a capo del Governo il liberale piemontese Giovanni Giolitti, che venne successivamente criticato per una sottovalutazione delle segnalazioni di rischio e delle successive emergenze, mentre i marinai russi e britannici erano già all’opera per prestare i soccorsi alla comunità di Messina che all’indomani del sisma si presentava come una città sepolta viva.
Il Professor Calvi, nella propria intervista, ha sottolineato: “Non è possibile prevenire i terremoti, è possibile controllare i danni che essi producono. E di certo è sostenibile economicamente investire per ridurre le perdite, in particolare quelle indotte che sono di solito tali da giustificare ampiamente gli investimenti di riduzione del rischio. Il problema – conclude il luminare e accademico – è investire bene, cioè mettere le risorse laddove il rapporto tra investimento e riduzione delle perdite sia più favorevole”.
Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti