Tornando a quanto invece sta succedendo dall’inizio di questa settimana nelle stazioni di servizio del nostro Paese – e anzi si era già verificato alla vigilia, nella più classica delle situazioni visti alcuni prezzi che si leggevano già dallo scorso weekend sui tabelloni dei distributori lungo le autostrade – va detto che il salasso letteralmente piovuto sui pendolari è la conseguenza di quanto deciso dai 27 Paesi UE, attraverso la fissazione di un prezzo massimo di importazione pari a 100 dollari al barile per i prodotti raffinati di più alto pregio – come il diesel – e a 45 dollari di fascia medio-bassa come la nafta, utilizzata in maniera prevalente in ambito agricolo.
Le restrizioni hanno un carattere ovviamente addizionale rispetto a quelle che in dicembre erano state approvate in pompa magna, sempre nei confronti della Russia, attraverso la fissazione di un “Price cap” sul petrolio pari a 60 dollari al barile.
Tuttavia, al fine di preparare psicologicamente gli automobilisti agli imminenti rincari al dettaglio, in alcuni punti del Paese il gasolio era già nei giorni immediatamente precedenti tornato alla cifra allarmante di 2 euro e 50 centesimi al litro, nella modalità “servito” dal benzinaio, e ciò riporta allo sciopero della categoria della fine dello scorso gennaio in segno di protesta contro il decreto del governo Meloni che era stato interpretato, giustamente, come una forma di “colpevolizzazione” a danno dei titolari degli impianti di distribuzione retail.
Le organizzazioni di tutela dei consumatori, lungi dallo scatenare l’ennesima disfida tra automobilisti e l’anello conclusivo della catena dei carburanti, hanno ricordato in una lettera l’altissimo livello degli extra profitti conseguiti nel corso del 2022, in pratica dall’aggressione russa contro il popolo ucraino e dall’avvio delle prime sanzioni occidentali di embargo contro il regime putiniano: quasi due miliardi di utili in eccesso sulla benzina, e addirittura 7,5 miliardi di euro spuntati in più sul gasolio.
Torna quindi di assoluta attualità l’impegno assunto dalla premier Giorgia Meloni e dal titolare del dicastero del MEF, Giancarlo Giorgetti, in merito alla possibilità di destinare il gettito in eccedenza dell’IVA – il cosiddetto fiscal drag derubricato a entrata corrente nell’ultima manovra di bilancio – a un piano di riduzione flessibile e modulare delle accise al fine di garantire la neutralità del prezzo al dettaglio dopo il mancato rinnovo dello sconto fiscale del governo Draghi.
Alla fine dello scorso ottobre, l’Italia aveva importato dall’estero 19 milioni di tonnellate di gasolio per utilizzi di autotrazione, di cui soltanto 323.000 tonnellate dalla federazione russa.
La questione assume un carattere anche industriale – come scrivevamo all’inizio – poiché impone una accelerazione verso forme di mobilità ad alimentazione alternativa a basse e bassissime emissioni da incentivare senza maggiori oneri a carico dei produttori di automobili e degli acquirenti finali di veicoli.
Un tema di cui il CEO di Stellantis ex Fiat FCA, Carlos Tavares, si è fatto interprete in prima persona, sollecitando il governo Meloni a varare e mettere a disposizione nuove formule di incentivazione o di tipo fiscale o a carattere normativo, al fine di scongiurare il rischio di un disimpegno manifatturiero in Italia.
Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti