Scadrà domani 31 gennaio il termine ultimo, previsto dalla legge di stabilità del Governo Meloni, entro il quale le Amministrazioni comunali, con apposite delibere di Giunta e di Consiglio, dovranno comunicare la propria adesione o no alla possibilità di procedere allo stralcio integrale delle cartelle esattoriali di importo unitario marginale fino a mille euro affidate all’Agenzia nazionale della riscossione.
Si tratta di una facoltà che la coalizione di centrodestra, in particolare sulla spinta della Lega di Salvini, ha voluto inserire all’interno del più corposo capitolo in tema di pace fiscale: capitolo il cui valore complessivo in manovra è stimato in 3,6 miliardi di euro di (possibili) agevolazioni per i contribuenti in debito con gli enti statali e territoriali per somme dovute ma non versate attribuibili al periodo tra il 2000 e il 2015 e per le quali la pendenza residua, al primo gennaio di quest’anno, non sia appunto superiore a mille euro, interessi e sanzioni incluse.
Le ragioni addotte dallo schieramento governativo partono dagli stessi spunti forniti dal riconfermato Direttore generale dell’Agenzia delle entrate e della riscossione, AdER, Ernesto Maria Ruffini: un cittadino italiano ogni tre, dunque 19 milioni di persone, ha pendenze di tipo fiscale, contributivo e sanzionatorio per un totale di 42 milioni di verbali o contestazioni, in forma di cartelle e di iscrizioni a ruolo, che si traducono a loro volta in circa 1132 miliardi fin da ora classificati come non più recuperabili per cause diverse (irreperibilità, decesso o fallimento del contribuente ingiunto).
Ciò comporta che, a detta dei proponenti, i costi per la gestione di tali crediti, molto frazionati e risalenti, siano oramai di gran lunga superiori al beneficio della loro meno che teorica riscossione. Una tesi, quest’ultima, che viene però osteggiata dai Comuni e dalla loro associazione Anci di cui è presidente il primo cittadino di Bari Antonio Decaro, secondo il quale il provvedimento sanatorio del Governo Meloni verrebbe a configurarsi come una vera e propria “amnistia” destinata a incidere anche su cifre e ruoli in corso di recupero da parte delle Amministrazioni interessate.
Inoltre, nel motivare il proprio diniego nei confronti della facoltà offerta da palazzo Chigi e dal Ministero dell’economia e delle finanze, i Sindaci di grandi città a partire da Roma, Milano e Torino – Roberto Gualtieri, Beppe Sala e Stefano Lo Russo – hanno avanzato motivazioni di ordine sia contabile sia etico, anteponendo su tutto il dichiarato rispetto nei confronti di quanti finora, pur con difficoltà, hanno sempre fatto fronte a tributi e multe. Difficoltà congiunturali il cui aggravamento potrebbe tuttavia rendere necessario, quanto meno, procedere a forme di rateizzazione, considerati i casi divenuti più frequenti di morosità incolpevoli.
Ha comunicato invece la propria adesione, che deve per legge essere formalizzata all’agente nazionale della riscossione e quindi al dicastero del MEF, il primo cittadino di Napoli Gaetano Manfredi, per la particolarità del caso di un Comune nel quale il bassissimo tasso di riscossione, pari a meno del 16 per cento del totale, ha portato a livelli abnormi la massa dei residui attivi (ossia i crediti maturati ma non incassati) e reso necessaria un’opera di “manutenzione” del bilancio con la conseguente dovuta svalutazione delle poste inesigibili.
Va poi specificato che non tutte le municipalità si affidano all’Agenzia AdER: una buona parte di esse, corrispondente a circa la metà del panorama complessivo degli enti locali e dei “campanili”, punta a recuperare i propri crediti verso i contribuenti attraverso i propri competenti uffici interni o per il tramite di società terze di riscossione.
Ogni anno, dalla comminazione di sanzioni ai sensi del Codice della strada, le Amministrazioni civiche comunali incamerano all’incirca un miliardo di euro, ma un altro miliardo e mezzo risulta da incassare. Dal 2009, ai sensi di una norma voluta dall’allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il compianto Altero Matteoli, almeno il 50 per cento dei proventi da sanzioni stradali dovrebbe essere dedicato espressamente a progetti di sicurezza della viabilità, ma i più generali problemi di bilancio hanno nel concreto fatto venire meno tale vincolo per la necessità di coprire altre categorie e voci di spesa.
Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti