Detti oneri sono stati azzerati, in via straordinaria, dal precedente governo Draghi, con un provvedimento poi ripreso da Giorgia Meloni appena insediata in autunno a palazzo Chigi nel contesto del pacchetto di calmierazione delle tariffe energetiche applicato al periodo di protrazione dell’alto livello generale dei prezzi di cui le medesime sono in Europa, e ancor più nel Belpaese, la causa principale.
Ora, tuttavia, il meccanismo prospetta di entrare in corto circuito prima del definitivo rientro dell’emergenza inflazionistica. Sebbene infatti la fissazione di tetti massimi ai prezzi di acquisto di petrolio e metano dalla Russia abbia sortito un calo delle quotazioni sui mercati internazionali, queste vengono recepite molto più lentamente dal sistema di formazione dei listini applicati al pubblico dei consumatori e utilizzatori finali, cioè famiglie e aziende. Il che rappresenta un problema non piccolo e non gestibile per il governo Meloni, dal quale più volte è venuta la pubblica ammissione che le capacità di intervento e di copertura dei costi economici e sociali, da parte della manovra di bilancio per il 2023, avrebbero avuto un raggio d’efficacia circoscritto ai primi tre o quattro mesi dell’anno.
Quindi a Pasqua molti nuclei familiari e attività d’impresa si troveranno, in assenza di proroghe o integrazioni ai sostegni, l’amara sorpresa di bollette rincarate a fronte di quotazioni estere tornate ai livelli pre pandemici ma non ancora tradotte in tariffe retail altrettanto accettabili.
A pesare, sono stati i non pochi e non secondari errori di calcolo e di valutazione commessi dai ministri competenti e dai loro tecnici e consiglieri, in primis la decisione di limitarsi a prorogare nel merito alcuni decreti del governo Draghi e a ritoccare di poco all’insù i parametri ISEE originari, di fatto lasciando il ceto medio totalmente esposto all’emergenza degli aumenti in fattura.
A nulla sono valsi gli inviti a recepire le migliori buone prassi applicate oltre confine in Europa, da Paesi come la vicina Albania, partner economico dell’Italia, che in proporzione al numero degli abitanti ha messo sotto tutela 9 famiglie su dieci, grazie alla scelta di modulare lo scudo tariffario su requisiti non reddituali ma di consumo mensile fissando una soglia di tutela indicativa entro gli ottocento chilowattora.
Un simile modo di procedere ha favorito una salutare reazione a catena di effetti comportamentali, a partire dalla diffusione di una più spiccata cultura individuale e sociale del risparmio energetico soprattutto nelle abitazioni, che ha consentito la disapplicazione della soglia e il mantenimento per tutti gli utenti del costo delle bollette ai livelli di due anni fa.
Non lo stesso è avvenuto in Italia, dove anzi a partire da aprile tornerà in discussione addirittura la meno che minima protezione accordata alle utenze domestiche rientranti nella soglia ISEE dei 15.000 euro, e anche per le aliquote Iva ridotte al 5 per cento su pellet e teleriscaldamento la prospettiva è che tornino a cedere il posto a quelle ordinarie, senza considerare le altre partite in bilico dei crediti d’imposta per le imprese, della possibilità di rateizzo delle fatture e del fondo di garanzia bancario per ottenere a condizioni agevolate la liquidità addizionale utile a non interrompere i processi produttivi più energivori.
Se si considera che, nonostante questo mix di misure di contenimento del carovita, i risparmi familiari si sono assottigliati di 20 miliardi di euro nel medesimo arco temporale, a partire dai redditi medio bassi dove l’inflazione pesa due volte il tasso ufficiale, è tristemente immaginabile quello che accadrà dalla primavera in poi.
L’Italia verrebbe così a ritrovarsi nel paradosso di essere stata, con Draghi e Meloni, il Paese “testa di ponte” per l’ottenimento della misura europea del price cap o tetto massimo ai prezzi d’importazione degli idrocarburi e combustibili grezzi, salvo poi ritrovarsi “sotto i ponti” per gli effetti recessivi di un’alta inflazione resistente ai vari “cap” e agli aumenti del costo del denaro deciso dalla BCE.
La fine dei già magri e inadeguati aiuti in manovra è stata, nei fatti, oggetto di prime dichiarazioni in tal senso formulate dall’italiano Paolo Gentiloni, predecessore di Draghi e Meloni a palazzo Chigi, in veste di attuale commissario di Ursula von der Leyen agli affari economici: a lui è toccato l’ingrato compito di riferire al ministro Giancarlo Giorgetti che i sussidi ai prezzi finali dell’energia devono essere mirati ai gruppi di beneficiari classificati come più vulnerabili e soprattutto di durata limitata nel tempo.
Gli stessi sussidi però potrebbero essere fatti rientrare nella finestra della categoria degli aiuti di Stato, che l’Unione Europea ha detto di volere ampliare in risposta al maxi piano di sostegni di Biden per gli USA, per impedire il fallimento di interi settori economici e produttivi del nostro Paese e del vecchio Continente.
L’Italia ha quindi la possibilità di salire sull’ultimo treno utile messo a disposizione da Bruxelles, quello di deroghe più o meno sostanziose al regime degli aiuti statali, in alternativa al rischio di ritrovarsi su un binario cieco da aprile in poi. Quel binario sul quale minacciano di finire in ogni caso le bollette dei diciotto milioni di famiglie, contribuenti Irpef non imprenditoriali, per cui l’unico margine di manovra è quello della perdurante sospensione, almeno sino a fine 2023, del patto di stabilità e dei suoi effetti molto vincolanti sulle finanze nazionali.
Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti