Una volta compiuti tutti i conteggi, e determinata così l’imposta netta sulle persone fisiche, il cittadino può decidere di destinare una quota, corrispondente appunto al due per mille di quanto va versato comunque all’erario, a favore di uno specifico beneficiario tra quelli elencati, in codice, nelle opzioni previste dal modello unico.
L’obiettivo, fissato dal legislatore, è quello di fare in modo che il contribuente sia messo nelle condizioni di esprimere una preferenza perché una frazione di imposta dovuta, anziché confluire in maniera indistinta nelle casse dell’erario centrale, sia finalizzata a sostenere un ente, associazione o istituzione le cui attività siano confacenti alle sensibilità personali del contribuente.
Così, nel corso del tempo, si sono moltiplicati i soggetti giuridici e associativi che hanno richiesto e ottenuto dall’agenzia delle entrate uno specifico codice con cui proporsi a coloro che presentano il modello unico: dai Comuni alle organizzazioni solidali e di volontariato, dai circoli sportivi e culturali fino ai partiti politici.
Rispetto a questi ultimi, va rilevato che le preferenze di oltre il 96 per cento dei soggetti passivi Irpef sono state indirizzate da tutt’altre parti. Soltanto un 3,48 per cento di quanti hanno opzionato il fatidico due per mille ha scritto un numero di codice corrispondente a una determinata forza politica.
Se ciò è il sintomo più evidente di una disaffezione che pare insanabile, nei confronti di un sistema che i ceti medi e popolari continuano con qualche ragione fondata a percepire come una partitocrazia, per paradosso è proprio quello del 2 per mille il settore, forse l’unico, in cui a prevalere risulta essere il PD, scelto da oltre 475.000 contribuenti, seguito a distanza dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che ha incontrato e incrociato il favore di quasi 234.000 titolari di redditi Irpef. Terzo, non solo come Polo, è il movimento Azione di Carlo Calenda, che raccogliendo 1,26 milioni di euro supera di misura la Lega di Salvini ferma a 1,21 milioni.
Che cosa ci offre questo “spaccato” sul piano delle riflessioni? Anzitutto, indica che permane una residua capacità di mobilitazione di quello che un tempo era il principale partito della sinistra italiana, cioè il PD, il quale conserva un nucleo di elettori molto fedeli e disciplinati sul fronte delle adesioni che nel caso specifico si riflettono non sulla scheda elettorale ma sulla dichiarazione Irpef.
Paralleli a parte, un dato conclusivo è inoppugnabile: se veramente il sistema dei partiti avesse dato seguito, in senso letterale e puntuale, all’esito del referendum radicale, celeberrimo, del 1993, allorquando oltre nove elettori su dieci si espresse nel senso di cancellare dall’ordinamento la legge “Piccoli” sui contributi statali alle forze politiche, oggi anche le sigle partitiche maggiori avrebbero serissimi problemi di sussistenza organizzativa.
Invece, dal 1994 fino ai giorni nostri, il ceto politico della cosiddetta seconda Repubblica ha trovato soluzioni diverse per eludere il responso popolare: i contributi pubblici dello Stato furono sostituiti dai cosiddetti rimborsi elettorali, oltre che da una serie di voci non imponibili inserite nel trattamento economico mensile dei singoli parlamentari, e di risorse istituite nei bilanci autonomi di Camera e Senato per il finanziamento dei gruppi partitici costituiti a Montecitorio e a Palazzo Madama.
Questo altro non ha fatto se non accrescere i sentimenti di disaffezione e distacco tra la base elettorale e le formazioni susseguitesi nell’arco costituzionale: sentimenti più che giustificati da quanto successo subito dopo il risultato del referendum confermativo delle modifiche alla Costituzione Italiana sulla riduzione del numero di Deputati e Senatori.
A fronte dell’orientamento maggioritario, giusto o no, condivisibile o meno, con il quale gli elettori hanno risposto favorevolmente a un Parlamento di 400 eletti alla Camera e di 200 al Senato, nella prospettiva di ridurre le spese correnti, vari privilegi e le spese di funzionamento dei due rami parlamentari, la conseguenza, per effetto degli atti amministrativi interni delle due Presidenze, è stata quella di una crescita del budget medio a disposizione di ciascun “rappresentante del Popolo”, mantenendo così gli stessi costi totali di quando i deputati e i senatori erano 945.
L’andamento del 2 per mille destinato ai partiti, riflette esattamente quello che sarebbe il verdetto di una nuova iniziativa referendaria volta a (cercare di) abolire ancora una volta il privilegiato regime finanziario della politica: è immaginabile infatti che oltre il 90 per cento sceglierebbe di chiudere di nuovo i rubinetti. Anzi stavolta, dati i precedenti, di apporvi i sigilli.