Paradosso Governo: vorrebbe un Mes non rigorista, ma rifiuta quello sanitario

Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Ministro dell’economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti – entrambi al centro di un tiro di fuoco incrociato all’interno della maggioranza per un eccesso di decisionismo non concordato con il resto della coalizione su temi socialmente delicati come i carburanti e le bollette – hanno svolto la settimana scorsa un colloquio con il gruppo dirigente del fondo che gestisce il Mes, il meccanismo europeo di stabilità in attesa di ratifica da parte del nostro Parlamento.

Il confronto è stato con il direttore generale Pierre Gramegna e con il segretario generale Nicola Giammarioli. Il tenore della conversazione ha ribadito le perplessità di Premier e Ministro plenipotenziario nei confronti di una opportunità di finanziamento straordinario, potremmo dire quasi emergenziale, di cui gli Stati della Eurozona potrebbero beneficiare ma di cui nessuno finora ha voluto fruire. Né la riforma oggetto di ratifica – al cui appello manchiamo soltanto più noi – ha sciolto i dubbi residui sul piano delle controindicazioni che, per Meloni e Giorgetti, continuerebbero a prevalere sulle convenienze.

Per queste ragioni, addotte da palazzo Chigi e che parrebbero al momento inamovibili, la leader di Fratelli d’Italia e capo del Governo ha chiesto ufficialmente al DG Gramegna che venga promossa una riunione con gli altri Stati aderenti al fondo del Mes con il precipuo obiettivo di mettere a punto degli accorgimenti tali da permettere un utilizzo meno condizionato delle ingenti risorse detenute dal meccanismo europeo di stabilità e con le quali quest’ultimo può, a norma dei regolamenti vigenti, agire sui mercati internazionali dei capitali procacciando, con un effetto leva, risorse che vengono poi assegnate in prestito condizionale al Paese della zona euro che ne abbia richiesto l’intervento e il sostegno.

Giorgia Meloni vorrebbe appunto che l’aggettivo relativo alla condizionalità del prestito assegnabile dal meccanismo venisse attenuato e adattato alle diverse e sopraggiunte condizioni macroeconomiche in cui l’Europa si trova ora a dibattersi tra alta inflazione e crescita del tasso di concorrenzialità, nei confronti del vecchio Continente, da parte non più soltanto di una Cina azzoppata dal covid ma altresì, circostanza inedita fino a poco tempo fa, dagli Stati Uniti d’America autori di un piano molto aggressivo per la ri-localizzazione di intere fabbriche, distretti e filiere industriali.

Su quest’ultimo punto, grazie soprattutto alle più recenti aperture di flessibilità manifestate dalla Repubblica federale tedesca, il cui cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz è interessato a salvaguardare l’industria automobilistica principale tassello della locomotiva d’Europa, sembra che la commissione von der Leyen intenda muoversi procedendo alla costituzione di un fondo comune, sul modello del recovery pandemico, che prevenga, da un lato il rischio di delocalizzazioni verso Ovest e oltre Atlantico, e favorisca dall’altro, complice la crisi cinese e asiatica, il ritorno di settori manifatturieri tradizionali e strategici negli anni e decenni passati emigrati nel far East.

Tornando tuttavia al Mes, però, proprio quanto accaduto nella primavera del 2020 è la dimostrazione di come tale fondo, sorto per rappresentare una forma di alternativa o complementarietà al fondo monetario internazionale – FMI, possa già fin da ora al proprio interno creare delle linee di finanziamento agevolato per fronteggiare scenari emergenziali e non prima previsti, sospendendo per iscritto il regime delle condizionalità, sinonimo di austerità, e stabilendo, per i prestiti da concedere, delle clausole tali da determinare l’applicazione di un tasso lordo – comprensivo cioè di tutti i costi a carico dello Stato beneficiario dell’aiuto del Mes – inferiore all’uno per cento.

Il che non solo renderebbe un simile piano di aiuti più opportuno di qualsiasi quantitative easing erogabile dalla Banca centrale Europea – BCE, ma consentirebbe al bilancio dello Stato italiano di trarre un duplice vantaggio emettendo una linea dedicata di BTP, indirizzata esclusivamente ai deliberanti del Mes, non soggetta alle oscillazioni o al gradimento del mercato dei capitali e tale da ridurre ulteriormente lo spread la cui diminuzione, va ricordato, dipende anche dalle scelte di politica economica della Germania che offre rendimenti più alti sui propri titoli sovrani Bund per finanziare il maxi piano domestico da 200 miliardi a copertura di bollette e inflazione.

Tutti gli studi condotti sono concordi nel rilevare che il Mes sanitario consentirebbe di evitare la chiusura di interi reparti e strutture ospedaliere, permettendo di fare fronte a una maggiore bolletta di luce e gas stimata in oltre dodici miliardi di euro solo per quest’anno, attraverso interventi di riqualificazione edilizia volti a rendere meno energivori i presidi e nosocomi, e a riorganizzare funzionalmente l’intera rete dei pronto soccorso, della medicina territoriale e della residenzialità assistita soprattutto per la nostra popolazione anziana, attivando azioni, a livello statale e regionale, per migliorare il trattamento economico e professionalizzante del personale medico e infermieristico e per ridurre le liste d’attesa sovvertendo la tendenza alla migrazione e alla fuga di risorse professionali verso l’estero e verso il settore privato a pagamento.

L’alternativa al Mes, si badi, non è indolore: essa consiste infatti nel dover fare accettare socialmente un forte rincaro dei ticket e delle addizionali regionali e comunali all’imposta Irpef, destinati a vanificare le solo parziali rivalutazioni degli assegni pensionistici e gli interventi fin qui messi in campo per sostenere, in misura solo temporanea e non esaustiva a detta dei molti critici interni ed esterni della manovra di bilancio, le categorie reddituali più disagiate.

Il paragrafo delle addizionali Irpef di Regioni e Comuni, e Irap sulle attività produttive, del quale più nessuna parte politica parla, rimane incombente, e proprio per questo forse si evita ogni dibattito in merito. Eppure una discussione andrebbe riattivata, poiché oramai già da alcuni anni è decaduto il blocco delle aliquote che lo Stato aveva prescritto agli enti locali al fine di assicurare la invarianza della pressione tributaria complessiva nelle more del varo della riforma fiscale di sistema.

A fronte della crisi di molti settori manifatturieri e terziari, che incide sul gettito dell’imposta IRAP (un quinto del quale finanzia i servizi regionali alla salute), l’IRPEF rimarrebbe l’unica leva attivabile pur al prezzo di una ulteriore contrazione di potere d’acquisto e consumi.

L’editoriale di AZ

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