Tanto che due imprese su tre prevedono che dovranno ritoccare all’insù i propri listini per bilanciare i più alti costi di produzione collegati in particolare alle utenze, non comprimibili, di luce e gas. L’altro lato della medaglia è che, sempre secondo via Nazionale, scende a meno del 50 per cento la quota di aziende che prevede un ulteriore peggioramento di scenario macro, poiché la netta maggioranza di esse – quasi nove su dieci – è orientata a immaginare davanti a sé una stagnazione.
Eppure, grazie presumibilmente all’effetto di volano dei fondi del Pnrr, sale il peso specifico degli imprenditori e delle realtà produttive che intendono procedere ad assunzioni da qui a fine marzo, soprattutto nell’industria e nel terziario. Ciò non solo per le robuste iniezioni di liquidità condizionale da Bruxelles, per attuare il piano di ripresa e resilienza, ma altresì in considerazione del fatto che molte attività del nostro Paese lavorano come sub-fornitrici di primo livello nei confronti di economie europee, come quella tedesca, pronte a ripartire con più slancio grazie al maxi piano anticrisi e anti inflazionistico del cancelliere Olaf Scholz.
Fin qui il Paese reale. Passando al parallelo della dimensione finanziaria, da registrare subito è la diminuzione di 6 miliardi intervenuta nello stock del debito pubblico che nello scorso novembre si è attestato poco sotto i 2765 miliardi. La riduzione è stata corrispondente al calo delle disponibilità liquide del ministero del Tesoro, nonostante le rettifiche in aumento per finanziare i premi di emissione delle nuove linee dei BTP, i rendimenti indicizzati al carovita e le variazioni dei tassi di cambio nonché per recepire la tranche o rata di undici miliardi del Pnrr sempre nel penultimo mese dello scorso anno.
Si riduce inoltre il controvalore della quota di debito pubblico detenuta da operatori esteri, per uno stock che scende sotto la soglia dei 635 miliardi. Circostanza sulla quale potrebbe avere influito la decisione della Banca centrale europea di allentare il quantitative easing e di ridurre la presenza e il peso specifico dei BTP italiani nel proprio portafoglio.
Una simile circostanza può indicare anche una accresciuta attenzione e sensibilità dei potenziali sottoscrittori dei nostri titoli di Stato nei confronti della loro redditività: quindi molto, per il prossimo futuro, dipenderà dalle scelte della BCE in tema di fissazione dei livelli dei tassi di riferimento, affinché il costo del denaro non aumenti in misura tale da riaccendere lo spread e da condurre a un deprezzamento del valore dei titoli sovrani, ma al contrario dia spazio e lasci il posto a segnali di distensione in grado di premiare la solidità dei fondamentali dell’economia reale italiana e di mettere il ministero del Tesoro o MEF nella condizione di collocare nuove emissioni di BTP in maniera sostenibile e di ottenere sulle stesse basi il rinnovo dei titoli in scadenza.
Sull’auspicio di un orientamento della BCE a favore di una linea non rigorista sui tassi si è autorevolmente espresso, nello stesso tempo, il Presidente dell’associazione bancaria ABI Antonio Patuelli, in considerazione dell’esigenza di prevenire il più possibile i venti della recessione, non solo tecnica, e di rifinanziare le misure di garanzia patrimoniale pubblica volte a fare in modo che il settore degli istituti di credito possa continuare nel pieno rispetto di leggi e regolamenti a rifinanziare i segmenti di attività economiche più esposti a un’alta inflazione dovuta a fattori non domestici, a differenza che in America, bensì esogeni, bellici e pandemici asiatici.
Insomma, non è più tempo di fare i falchi da Roma contro i falchi di Francoforte, con attacchi da kamikaze alla Banca centrale custode dell’Euro; è tempo di creare un movimento di colombe sul costo del denaro, a favore dell’evoluzione intrapresa da un debito pubblico sì ancora molto elevato ma dichiarato, malgrado tutto, sostenibile proprio dall’Istituto guidato da Christine Lagarde.