L’inflazione del vicino è sempre più bassa. La lezione dell’Albania al governo Meloni

Germania, Francia, Svizzera e Albania hanno portato avanti scelte di bilancio e monetario che hanno impedito ai fattori internazionali di riflettersi integralmente sui prezzi al dettaglio. La lezione del Bignamino di Beppe Ghisolfi e il monito a non cedere a politiche deflattive. L’erba del vicino è sempre più verde. Dice un adagio popolare. Nel nostro caso in specie, l’inflazione del vicino è sempre più bassa. E lo è sia nelle economie comunitarie, sia in quelle comunitarie a noi più vicine e con noi più cooperanti.

Le rilevazioni dei pubblici istituti che periodicamente divulgano gli aggiornamenti sui livelli generali dei prezzi, aggiornamenti ufficiali che vengono poi utilizzati dai decisori politici per assumere deliberazioni volte a mitigare gli effetti sociali del costo della vita – per esempio tramite l’indicizzazione delle pensioni o dei salari – hanno certificato nei rispettivi Paesi delle oscillazioni più basse di quelle che erano state preventivate. Per l’esattezza, ciò è avvenuto in Francia e in Germania, rispettivamente collocate a +5.9 e a +8.6, ma allo stesso tempo si è verificato in Svizzera e in Albania, a +2.8 e a +7.9 per cento.

Parliamo di quattro Nazioni che presentano assetti macroeconomici differenti e anche inquadramenti di diritto europeo diversi, ma che sono tutte e quattro accomunate dalla circostanza di mantenere storicamente stretti e solidi rapporti di cooperazione industriale e commerciale con l’Italia. A determinare, in ognuno dei quattro casi in esame, una più moderata dinamica inflazionistica sono state precise scelte di politica di bilancio statale che hanno stabilito l’applicazione di un regime amministrato sui prezzi finali dell’energia prodotta – come nel caso della Francia che ricava l’elettricità dal procedimento nucleare – ovvero di un tetto all’importo massimo delle bollette notificate a famiglie e imprese in funzione di fasce di consumo – ciò che sta avvenendo in Germania con l’applicazione del pacchetto Scholz da 200 miliardi – ovvero ancora di un mix delle due soluzioni: come si è scelto di fare in Albania, dove il governo di Edi Rama ha optato in parte per la copertura della differenza in aumento tra le tariffe attuali di mercato e quelle dell’estate del 2021, in parte per una politica di prezzi amministrati di acquisto dell’energia idroelettrica dai produttori locali.

Molto probabilmente, il Governo Meloni Pichetto avrebbe dovuto emulare qualche prassi da uno o più dei propri vicini, per esempio fissando un tetto nazionale non al prezzo dell’energia – essendo ciò una scelta come minimo europea date le dimensioni mondiali del mercato della domanda e dell’offerta di gas – bensì un tetto alle bollette differenziato per scaglioni di consumo: in tal modo l’esecutivo italiano sarebbe venuto incontro al disagio di centinaia di migliaia di famiglie e di micro imprese che sono consumatori marginali di luce e riscaldamento e che avrebbero potuto beneficiare di uno scudo più efficace di quello del solo riduttivo ISEE.

I due più recenti libri del Banchiere scrittore Beppe Ghisolfi – Abbecedario e Bignamino – dedicano al dilemma tra inflazione e deflazione altrettanti specifici paragrafi: se da una parte l’inflazione può indicare un certo dinamismo dell’economia, nella misura in cui discenda da fattori domestici come maggiore occupazione qualificata e maggiori salari reali, per converso rischia di trasformarsi in una tassa sui poveri, a carico soprattutto di pensioni e redditi fissi, qualora sia determinata da tensioni esterne sulle materie prime agricole ed energetiche, nel qual caso si deve purtroppo parlare di agflazione (dove il prefisso ag- sta per agricoltura) e stagflazione (in cui la prima sillaba indica stagnazione).

Attenzione però a non cedere al dilemma opposto, quello della deflazione che – come è annotato nei due best seller – condurrebbe al blocco produttivo e occupazionale, per esempio in forza di scelte volte ad accompagnare un ciclo economico sfavorevole e a causare il rinvio delle decisioni di consumo e di investimento.

La risposta all’inflazione, come ci hanno insegnato i casi dei quattro Paesi vicini e partners dell’Italia, non può che venire dalla diversificazione: da un mix cioè di politiche fiscali e monetarie, per quello che riguarda la parte pubblica, e di strumenti di destinazione dei risparmi accantonati, per quanto riguarda i patrimoni di famiglia e d’impresa. Sono molteplici gli interventi che, su quest’ultimo tema, sono stati realizzati dall’accademico economista torinese Giovanni Cuniberti, autore del sito patrimoni di famiglia e della definizione dell’amico Beppe Ghisolfi come il “Piero Angela dell’educazione finanziaria”.

L’errore di fondo che viene attribuito a Giorgia Meloni e ai Ministri Giancarlo Giorgetti, all’economia, e Gilberto Pichetto, all’ambiente e sicurezza energetica, è quello di avere basato i provvedimenti di tutela contro i rincari non sulle fasce di consumo, bensì su un parametro come l’Isee che la manovra di bilancio appena approvata ha aggiornato da 12.000 a 15.000 euro, di fatto lasciando scoperta la pressoché totalità delle famiglie di classe reddituale intermedia – per inciso, quelle con redditi annui lordi fino a 36.000 euro – che, pur non essendo (ancora) scivolate nella soglia di allarme di disagio sociale, cominciano a riscontrare dei seri problemi in fatto di pareggio dei bilanci domestici.

Senza considerare che, sull’altro parallelo fronte corporate o delle aziende, non è stato stabilito alcun regime di difesa dall’aumento delle tariffe per le realtà produttive allacciate alla media tensione, come lamentato dagli stessi vertici di Confindustria: per le attività economiche sono stati previsti dei crediti d’imposta la cui scarsa efficacia risiede appunto nella circostanza che gli stessi potranno essere fruiti solo a partire dalla seconda metà dell’anno, mentre gli stessi importi avrebbero potuto essere impiegati a favore di strumenti di compensazione attivabili da subito.

La sensazione è che il Governo Meloni abbia fatto un eccessivo affidamento sulle capacità quasi taumaturgiche dei price cap, ossia dei tetti massimi ai prezzi di gas e petrolio, con la certezza che gli stessi si sarebbero potuti riflettere pressoché subito in minori tariffe e prezzi al consumo: circostanza rivelatasi irrealistica. Tanto che adesso lo stesso Ministro Pichetto promette di correre ai ripari per introdurre meccanismi compensativi o di mitigazione con specifici calmieri.

Nella vicina Albania, al fine di impedire l’aumento del costo dei biglietti dei mezzi di trasporto pubblico, la decisione del governo Rama Balluku è stata quella di finalizzare una quota del maggior gettito delle accise sui carburanti delle stazioni di servizio, utilizzati dai veicoli a uso individuale, per coprire la differenza in aumento dei prezzi dei carburanti acquistati all’ingrosso dalle società di gestione del trasporto pubblico locale, a fronte dell’impegno a non aumentare le tariffe dei biglietti al pubblico per i bus di linea pendolare.

Uno scudo alle oscillazioni internazionali dei combustibili che sta portando a una calmierazione spontanea di tutti i listini nel Paese. Quello di fronte a noi, però. L’appuntamento è pertanto alla fine di aprile: quando occorrerà individuare coperture aggiuntive per altri 30 miliardi contro i rincari già avvenuti su gas e carburanti e modificare i parametri dei beneficiari passando dal criterio ISEE a quello della fascia dei consumi mensili in chilowattora.

Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti

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