Cosicché perfino all’interno di una stessa regione si registrano delle sperequazioni abissali tra aree provinciali diverse, con evidenti penalizzazioni di fatto per le zone a maggiore incidenza di piccoli e piccolissimi Comuni. Proprio di recente è balzato alle cronache il caso dell’Emilia Romagna, con la macro area emiliana che è riuscita ad aggiudicarsi il 90 per cento delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, a valere su diversi capitoli come la transizione digitale, a fronte di un contesto romagnolo rimasto in posizione residuale.
La “Caporetto” riguarda in misura lampante la galassia delle municipalità al di sotto delle soglie demografiche dei cinquemila e dei mille abitanti. Sono quasi 2200 le amministrazioni cittadine che risultano non destinatarie e quindi non attuatrici di interventi ex Pnrr al di fuori dei fondi ricadenti sotto la giurisdizione del ministero dell’interno: di queste, quasi nove su dieci hanno una popolazione che non arriva a 5000 abitanti.
Relativamente ai municipi con meno di mille abitanti, quasi uno ogni due non è riuscito ad accedere ai finanziamenti del recovery plan. Il nodo è quello della rendicontazione, un aspetto che nessuno dei governi susseguitisi dal Conte due al Meloni uno, passando per Draghi, ha soppesato adeguatamente: eppure si trattava di un aspetto centrale, da negoziare con la stessa intensità di impegno dedicata alla trattativa sugli aspetti quantitativi e monetari degli aiuti da fare giungere al nostro Paese.
Invece è stato sottovalutato un risvolto dalle conseguenze molto impattanti e che rischia di mettere un’ipoteca pesante sulla complessiva economia del recovery plan.
Sono sempre più numerosi, da Nord a Sud – l’area del Paese che in teoria sarebbe destinataria del 40 per cento dei fondi a carattere non territoriale – i sindaci che, personalmente o tramite l’associazione Anci, chiedono a Meloni e Fitto che si corra ai ripari con disposizioni che assegnino maggiori competenze alle unioni intercomunali e alle tanto (nel passato) demonizzate Province. Competenze che riguardino non solo il semplice coordinamento, ma la gestione esecutiva e la riepilogazione contabile a norma UE dei passaggi che scandiscono ogni singolo progetto messo a bando: ciò che rimane un nevralgico anello mancante.
A oggi, anche se una iniziativa, per accedere a un fondo territoriale in qualsiasi settore di competenza del Pnrr, viene promossa da una Unione di comuni, tocca poi a ciascuno di questi ultimi procedere a rendicontare. Una vicenda paradossale, e che conferma come la forma procedurale possa tramutarsi in una perdita economico finanziaria netta sostanziale.
Nel frattempo, il ministro Raffaele Fitto tiene a rassicurare i potenziali e attuali beneficiari dei fondi europei stanziati per la fase post pandemica: la prospettiva non è quella delle singole scadenze ma quella dell’intera legislatura (che teoricamente dovrebbe concludersi nel 2027), e semmai – secondo il rappresentante del governo Meloni – il vero tema è quello di evitare che si creino eccessive sovrapposizioni tra le risorse del Pnrr e quelle previste dalle altre tipologie di programmi e fondi strutturali stanziati e assegnati da Bruxelles.
Gli amministratori locali, tuttavia, rilanciano il problema e chiedono che sia impressa una accelerazione rendendo finanziabili, per esempio, i progetti già validati da precedenti graduatorie e rientranti nei medesimi settori beneficiati dal Pnrr. Per evitare che a essere rendicontato sia l’ennesimo fallimento all’italiana.
L’editoriale di AZ