Le stime parlano con chiarezza: l’attuale budget della manovra economica per il 2023, ammesso che venga approvata in tempo utile per scongiurare l’esercizio provvisorio del bilancio statale, servirà a malapena a coprire un arco temporale fino al prossimo mese di marzo, poiché mensilmente occorrono 5 miliardi di euro per assicurare una minima coesione sociale sul tema delle bollette di luce e gas e dei rincari in atto nel carrello della spesa delle famiglie.
La spiegazione è molto semplice: l’Italia rappresenta la terza economia come grandezza del PIL e la seconda realtà manifatturiera dell’Unione Europea, eppure ha messo in campo risorse che equivalgono soltanto a una parte di quelle stanziate da Germania e Francia, le quali possono inoltre contare su leve più incisive di politica energetica interna.
È lecito purtroppo attendersi, dopo la pausa festiva di Natale e Capodanno, un aggravamento della recessione già peraltro anticipata dalle stime delle agenzie mondiali che indicano la battuta d’arresto del reddito nazionale dopo gli andamenti favorevoli dei trimestri del 2022 dovuti alla riapertura post covid delle attività economiche. Riapertura che viene giudicata da molti osservatori alla base della prima impennata inflazionistica, precedente infatti lo scoppio della guerra russa in Ucraina, secondo una elementare legge dell’economia che parla di “effetto fionda”.
Sia chiaro che la responsabilità non è interamente ascrivibile al governo Meloni: la commissione europea si è paralizzata sulle proposte che avrebbero dovuto fissare un tetto efficace al prezzo del gas non solo russo ma proveniente altresì da terzi fornitori, inclusi quelli di gas naturale liquido, come Stati Uniti d’America, Norvegia e Qatar, e il Parlamento europeo, travolto dagli scandali corruttivi, appare più indebolito che mai. In simili condizioni, immaginare uno scatto del tipo di quello che portò al recovery fund e al Mes sanitario (peraltro non utilizzato dall’Italia per ragioni ideologiche) è meno che un’utopia.
Di fronte a ciò, al Governo di destra centro non restano che due strade, anzi tre: imporre più rigorosi razionamenti nei consumi invernali di energia, obiettivo reso problematico da un Paese mediamente anziano e travolto da una anomala ondata influenzale; portare sopra il 35 per cento la tassazione straordinaria sugli extra-profitti delle compagnie a partire da quelle produttrici di idrocarburi, con aliquote impositive più basse per le società attive nella generazione da fonti rinnovabili; e accelerare con il recepimento di una valida proposta per disaccoppiare nettamente queste ultime dal prezzo del gas, provvedimento che porterebbe la bolletta media a scendere del 25 per cento.
A ciò si aggiunga l’ulteriore stretta monetaria della BCE di Christine Lagarde che, aumentando i tassi di riferimento e riducendo il ruolo del bilancio della Eurotower relativo alla capacità di acquisto calmierante dei titoli di Stato, comporterà una lievitazione del costo del denaro anche in relazione a quelle tipologie di prestito corrente che servono a finanziare la spesa delle aziende correlata alla sostenibilità delle bollette e alla loro solvibilità per non bloccare l’attività produttiva.
Basta inoltre scrutare l’andamento dei tassi di cambio per rendersi conto di come il dollaro statunitense si sia indebolito in misura importante nel confronto con l’euro, il che facilita l’acquisto massivo di gas naturale liquido a stelle e strisce a prezzi che per gli acquirenti europei sono tutt’altro che vantaggiosi. Per tale motivo, in parallelo con la disponibilità degli Stati del vecchio Continente a imporre crescenti sanzioni alla federazione Russa, Washington avrebbe dovuto manifestare un maggiore spirito di solidarietà atlantica stabilendo un prezzo politico o comunque non pieno per il GNL da collocare sull’altra sponda dell’Atlantico, ma di ciò nessuno a Bruxelles pare essersi occupato, né preoccupato di chiedere all’alleato americano una maggiore considerazione di sensibilità con l’adozione di un minimo piano Marshall sull’energia.
È paradossale che nel Paese delle centinaia di municipalizzate, moltissime attive nelle public utilities, e delle partecipazioni statali, che restano una voce importante per quanto meno pervasiva che nella prima Repubblica, non si riesca a stabilire un tetto né al prezzo delle fonti energetiche amministrate, né alle bollette al dettaglio, a causa di tariffe vincolate all’andamento dei precedenti contratti finanziari pronti contro termine che non recepiscono le più recenti quotazioni calanti.