La BCE, sotto la presidenza di Christine Lagarde, è tornata pertanto al proprio ruolo di gendarme continentale del monetarismo più ortodosso, che si innesta su istituzioni politiche comunitarie mai così deboli e delegittimate come lo sono oggi, fra sviluppi giudiziari molto gravi e incapacità decisionale in campo energetico e nel contrasto ai movimenti speculativi di alcuni Paesi membri. Incapacità politica quale è poi in definitiva il fattore alla base della inadeguatezza a contrastare il fenomeno inflazionistico che dà origine alle scelte di austerità della Banca centrale per limitare e scoraggiare la liquidità circolante.
Obiettivo dichiarato di Christine Lagarde è ricondurre il livello generale dei prezzi a imboccare nuovamente il sentiero che lo riporti, anche se non subito ma comunque in linea di tendenza, alla soglia del due per cento prevista dal trattato istitutivo della UE.
Il diritto pattizio comunitario non contempla in via giuridica il necessario coordinamento tra politica economica, fiscale e monetaria, sebbene lo stesso si sia manifestato nel corso della presidenza Draghi alla Eurotower. Quindi, la scelta compiuta dal direttivo di Francoforte è destinata a riflettersi sul fatidico spread, sulle prossime emissioni di titoli del debito pubblico e sui costi dei finanziamenti richiesti da famiglie e imprese in conto mutui, sebbene la presidente Lagarde abbia teso a puntualizzare che il ritmo di crescita dei tassi di interesse sarà decelerato in maniera e in misura da non aggravare la recessione prevista per la prima parte del 2023 con gli indicatori unanimi nel ribadire la stagnazione del PIL della zona euro e dell’Italia in special modo.
Italia che viene caldamente invitata a recepire il meccanismo europeo di stabilità, o meglio le modifiche al Mes, nel proprio ordinamento, dopo la sentenza della corte costituzionale tedesca che ha decretato il via libera alla promulgazione del fondo salva Stati da parte di Berlino. A seguito della firma apposta dal presidente della Repubblica Franz Walter Steinmeier, che introduce la riforma del Mes nella legislazione della Germania federale, tocca al Governo Meloni fare altrettanto per il nostro Paese.
Tuttavia, il ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, esponente dell’ala dialogante della Lega, nelle scorse ore ha dichiarato che il meccanismo europeo di stabilità richiede un ampio dibattito parlamentare che preluda a un ripensamento di tale strumento di assistenza finanziaria ai Paesi dell’eurozona in difficoltà nei propri bilanci, e ciò perché a essere mutato è lo scenario macroeconomico in cui il Mes era stato pensato e normato, in un contesto di spread fuori controllo e di crisi mondiale dei mutui subordinati, mentre adesso le sfide riguardano il contrasto dell’inflazione energetica e alimentare e la necessità di finanziare investimenti condizionati non alla ristrutturazione dei debiti pubblici ma all’aumento della capacità di sovranità della UE nelle materie prime strategiche.
Certamente, quanto sta accadendo dalle parti del Parlamento europeo, dopo la vicenda scoperta dalle indagini sui rapporti tra Qatar e alcuni rappresentanti di primo piano della Euro-Camera, è destinato a mettere in secondo piano la vocazione attendista del Governo Meloni sull’argomento. Fino a quando però?