Gentiloni sgrida l’Italia: troppa Iva evasa, subito registro e sportello unico Ue

Il commissario europeo, titolare della delega agli affari economici nella commissione von der Leyen, ha presentato l’aggiornamento del quadro dinamico relativo all’imposta sul valore aggiunto per l’esercizio 2020, segnato da un rallentamento generale dei volumi economico commerciali a causa del blocco che fu disposto per arginare la pandemia da coronavirus.


Nel totale comunitario, i calcoli degli accertamenti e delle contestazioni, così come dell’incrocio delle anagrafi tributarie, portano a stabilire che nelle casse degli Stati membri della UE sono mancati all’appello oltre 93 miliardi di gettito IVA, 26 dei quali ascrivibili alla sola Italia.

Un primato in negativo che si consolida di anno in anno, per quanto riguarda il Belpaese; e che trae origine sia dal fenomeno dell’evasione “consapevole o consensuale” – ossia l’accordo sommerso tra il venditore di un bene o servizio e l’acquirente finale dello stesso -, sia dalla eccessiva frammentazione di aliquote lungo la catena produttiva e distributiva, all’ingrosso e al dettaglio, sia infine da schemi sempre più sofisticati di acquisto e rivendita di uno stesso prodotto da parte di una medesima persona, o gruppo, operante tramite un “carosello” di società create ad arte spesso tra Italia e Paesi terzi.

Rimane un dato di fatto, non confutabile, che i Paesi nordici, specialmente quelli dell’area scandinava, si caratterizzano per la più bassa incidenza in assoluto di omesso versamento della più celebre tra tutte le imposte indirette, così denominate perché colpiscono non la capacità contributiva come tale ma la sua manifestazione tramite appunto i consumi.

Il commissario europeo ed ex premier italiano Paolo Gentiloni ha lanciato una dichiarazione severa: in una fase in cui è fondamentale reperire e recuperare risorse da destinare alla lotta contro l’inflazione alimentare ed energetica, il contrasto al mancato pagamento dell’IVA è una priorità per Paesi come Italia in primis, ma anche Germania e Francia che tuttavia in valori assoluti e percentuali hanno valori pari a meno della metà del dato dello Stivale.

Vi è da dire che la tendenza a una così diffusa evasione consensuale è legata a un più basso livello di fiducia collettiva e sociale nei confronti delle istituzioni pubbliche e della macchina amministrativa, che tanto esige ma poco eroga, in proporzione, ai contribuenti.
Deve essere inoltre precisato che moltissime imprese, in un sistema di micro e piccole aziende, si caratterizzano non tanto per omessa denuncia di Iva, quanto per omesso versamento: questo perché utilizzano quel famoso 22 per cento al fine di autofinanziarsi, sforando ogni termine di legge utile o perentorio e quindi confluendo nel vasto novero degli indagati dalla Guardia di Finanza o degli ingiunti da agenzia entrate riscossione.

Da mesi, per non dire da anni, in questo periodo si moltiplicano i dibattiti relativi alle soluzioni da opporre a un simile tristissimo primato: dalla intensificazione degli investimenti in intelligenza artificiale, che porterebbe con sé un utilizzo massivo dello strumento degli algoritmi, a un aumento delle sanzioni penali e pecuniarie come deterrenza; dall’introduzione di innovazioni contabili come reverse charge o split payment – in pratica, l’Iva versata direttamente dal committente pubblico o privato all’atto di ricevere la fattura dal fornitore – fino alla massimizzazione della leva del mitico “contrasto di interessi”.

Quest’ultimo può essere definito come una modalità attraverso la quale, di fronte alla prospettiva di godere di una sostanziosa deduzione – che riduce il reddito tassabile – o detrazione – che abbatte l’imposta finale netta dovuta – il consumatore finale ha interesse a obbligare il dettagliante o libero professionista a emettere fattura o ricevuta.

I sostenitori del provvedimento spiegano che con questo sarebbe favorita l’automatica emersione di un’ampia base imponibile oggi nascosta intenzionalmente al fisco per addotte ragioni di sussistenza o sopravvivenza di ambo le parti che si accordano per una transazione non in chiaro; i detrattori argomentano invece che i benefici di una emersione della base tassabile sarebbero presto neutralizzati dal reciproco azzeramento tra il maggiore gettito IVA e il minore incasso IRPEF, e che addirittura vi sarebbe una perdita secca per l’erario laddove le transazioni avvengono già ora in chiaro senza l’incentivo a poter dedurre o detrarre.

In definitiva, possiamo argomentare che la fedeltà fiscale, al netto delle casistiche più gravemente dolose e penalmente rilevanti, si accresce rafforzando la fiducia istituzionale, la percezione dei servizi pubblici offerti e le forme di tutela e risarcimento del consumatore finale attivabili in caso di cattiva qualità del bene o servizio acquistato e in subordine alla presenza di un contratto scritto e di una fattura emessa ed effettivamente saldata.

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