Due provvedimenti che continuano a non trovare la necessaria pronuncia unanime all’interno degli organismi intergovernativi chiamati ad adottarli, a causa delle reticenze che insistono soprattutto tra i Paesi nordici, la cui più florida situazione, relativa ai bilanci pubblici nazionali e ai loro saldi, li porta a preferire soluzioni a carattere domestico, come è avvenuto nel caso della Germania con il mega piano da 200 miliardi, un autentico recovery plan autofinanziato per debellare gli impatti dell’inflazione importata.
L’Italia – come è stato più volte ribadito da Meloni – per il 2023 avrà a disposizione una trentina di miliardi, di cui i due terzi a deficit quindi a debito, e la nuova inquilina di palazzo Chigi, e leader di FdI, ha in ogni sede puntualizzato che non intende assegnarli alla speculazione, ma al contrario vuole dedicarli a provvedimenti che sostengano i redditi familiari e aziendali e riducano i costi indiretti a carico di cittadini e imprese.

L’aumento delle pensioni minime e il riconoscimento della perequazione piena agli assegni Inps fino a quattro volte il minimo, parrebbero andare in questa direzione, ma sono stati giudicati nettamente insufficienti dalle organizzazioni sindacali e dei consumatori. Così come troppo elevata viene definita la soglia di 180 euro per megawatt/ora fissata per contenere il prezzo dell’elettricità prodotta da fonti rinnovabili: un tetto massimo che, secondo il ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, è coerente con le indicazioni di Bruxelles in tema di disaccoppiamento tra gas e fonti alternative, e ha l’intento di non penalizzare un settore importante ai fini della transizione ecologica e della decarbonizzazione dell’economia.

Secondo Pichetto, l’applicazione del price cap all’italiana consentirà, alle quotazioni attuali, di conseguire risparmi superiori al 20 per cento sugli importi delle bollette finali. Un beneficio che potrebbe però non bastare, tenuto conto che lo spettro di riferimento del progetto di legge finanziaria copre la fase emergenziale fino al prossimo marzo.

Secondo gli esponenti del terzo Polo di Carlo Calenda, i meccanismi prescelti dal governo da poco in carica, che puntano a una riedizione dei crediti d’imposta, si innestano su scenari nettamente peggiorati, rispetto ai quali i tradizionali crediti d’imposta rischiano di essere troppo tardivi e quindi inefficaci: come è stato evidenziato dalla presidente di Azione ed ex Ministra Mara Carfagna – citando un punto specifico della contromanovra sottoposta con spirito costruttivo alla Premier Meloni – la determinazione di un tetto è necessaria con riferimento non ai prezzi del gas ma alle bollette di famiglie e imprese, mettendo lo Stato in condizione di pagare la differenza in aumento tra le tariffe di mercato e il limite massimo che non può essere superato dalle fatture dovute dagli utenti, ossia da ognuno di noi titolare di un contratto di luce e gas. La proposta terzopolista prevede una robusta dote di 40 miliardi sul biennio in corso fino al 2023.
Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti