Pnrr Sud: Turismo, Mise e Autonomie mettono a rischio la clausola del 40%

I due dicasteri, nel corso della gestione Draghi, quando erano affidati rispettivamente ai leghisti Massimo Garavaglia e Giancarlo Giorgetti, sono risultati inadempienti nell’applicazione della clausola che vincola il 40 per cento dei fondi del recovery plan alle regioni del Mezzogiorno: entrambi si situano decisamente sotto una soglia di attuazione che non arriva neppure al 30 per cento.

Il punto, al netto delle responsabilità politiche, è che non esistono autentici meccanismi di salvaguardia, in base ai quali le stesse risorse, nel caso non vada a buon fine un bando, possano essere reiterate a favore dello stesso obiettivo. Su tutto, alla fine del procedimento, pesa la paura di non riuscire a centrare tempi e obiettivi entro il 2027.

Sicuramente, per le aree del Sud Italia, la cornice di operatività del debuttante esecutivo di destra centro non offre tinte molto rosee: all’assenza di dispositivi che rendano effettivo il ruolo del Pnrr come fattore di riequilibrio strutturale degli storici divari divisivi dello Stivale, si aggiunge una riforma della autonomia in senso differenziato, targata Calderoli (ministro anch’egli della Lega), che mette in secondo piano i livelli essenziali delle prestazioni necessari a garantire condizioni di uguaglianza sostanziale di base, e fa scattare la tagliola del riferimento alla spesa storica la quale impedirebbe di ampliare i margini delle capacità di investimento e di derogare ai vincoli del patto di stabilità relativamente alle assunzioni di personale tecnico e specialistico, un punto questo su cui si stava concentrando virtuosamente il governo Draghi attraverso l’operato dell’allora ministra per la coesione e il Sud, e oggi Presidente di Azione, Mara Carfagna.

In aggiunta a ciò, gli interventi restrittivi in materia di reddito di cittadinanza, praticamente dimezzato per l’anno entrante e abolito a partire dal 2024, potrebbero assestare un duro colpo all’ordine sociale di complessive macro aree della Penisola – incluse alcune realtà del Nord come l’area metropolitana torinese – dal momento che appare alquanto irrealistico riuscire a procedere in pochi mesi a una riforma in direzione efficientista dei centri per l’impiego e del collocamento pubblico per fare convergere domanda e offerta di lavoro potenziando l’anello della formazione professionale lungo la catena di creazione del valore di occupabilità.

Roberto Occhiuto, Presidente della Regione Calabria: Mezzogiorno non inserito nelle priorità del recovery plan, il Governo ha dimenticato i livelli essenziali di prestazione e soltanto un imprenditore ogni dieci conosce esattamente le opportunità del Pnrr

Inoltre esiste la grana, non piccola, degli aiuti alla sostenibilità delle bollette: un punto denunciato dal Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto poiché, trattandosi di fondi utilizzabili soprattutto dalle imprese, finirebbe con il favorire il Nord a discapito del Mezzogiorno che viceversa produce energia in quantità superiori a quelle consumate pur pagando le stesse elevate bollette di Regioni forti come Lombardia e Veneto.

In definitiva, nell’ambito del Pnrr risulterebbero a rischio, secondo i dati messi a disposizione dal dipartimento di coesione presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, quindi da un alto ufficio dello stesso Governo, ben 15 miliardi facenti parte del più vasto stanziamento che dovrebbe essere assegnato al Mezzogiorno; mentre altri 26 miliardi, benché ascrivibili alla stessa voce del riequilibrio geografico del Paese, non presentano alcuna espressa clausola che ne renda effettivo e cogente il vincolo della destinazione geografica.

Deve essere ricordato, per fatto obiettivo, che la lacuna non è in ogni caso ascrivibile all’attuale esecutivo di Giorgia Meloni, bensì alla circostanza che i predecessori Giuseppe Conte e Mario Draghi non erano stati sufficientemente netti nel rendere sostanziali i paletti che avrebbero dovuto portare la riserva del 40 per cento del budget del piano nazionale di ripresa e resilienza ad andare oltre la pura e semplice disposizione contenuta in un ordine del giorno o mozione politico parlamentare.

La parola passa quindi alla Premier Giorgia Meloni e al suo fedelissimo Ministro per i rapporti con l’Unione Europea Raffaele Fitto, al quale la nuova inquilina di palazzo Chigi ha di fatto affidato, quasi esautorando Giorgetti, la gestione esecutiva del recovery plan annunciando, a partire dal 2023, una revisione sul lato delle priorità e delle procedure che lo rendano spendibile in pieno all’interno di ogni scadenza intermedia da qui al 2027.

Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti

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