La battuta d’arresto sul fronte della crescita nominale del prodotto interno, abbinata a un livello di inflazione destinato a non scendere, in assenza di miglioramenti negli orizzonti delle emergenze internazionali minaccia di riportare molti indicatori in territorio negativo. Uno di questi è rappresentato dall’occupazione, che lascerà il posto al pericolo di una crescita dei “senza lavoro”, che la Cgia stima in 63.000 persone destinate a riportare sopra la soglia dei 2 milioni 100.000 il totale di quanti cercano un contratto di assunzione.
Si badi bene che il deterioramento del quadro occupazionale viene a coincidere con una manovra economica, quella di debutto del primo governo di destra centro, con la quale il reddito di cittadinanza viene ridotto in maniera lineare per tutti i suoi beneficiari – scaricando sugli aventi diritto il costo degli abusi altrui – e la naspi, ossia la nuova assicurazione per l’impiego quindi in pratica l’indennità di disoccupazione, è in predicato di seguire lo stesso cammino di riduzione delle tutele per chi ne è percettore.
Nello stesso tempo, per cercare di regolarizzare quei settori a maggiore rischio di concentrazione dell’economia sommersa, il disegno di legge di stabilità finanziaria reintroduce in versione ampliata senza precedenti il meccanismo dei voucher per la regolazione del lavoro occasionale che non dà diritto al trattamento naspi. Parliamo di uno strumento, quello dei buoni o ticket per le prestazioni non continuative, le cui modalità di reintroduzione non convincono neppure le categorie aziendali alle quali il Governo ha cercato di rivolgersi, e infatti alcune critiche sono giunte dai vertici nazionali di Federalberghi.
Torniamo però al merito dello studio condotto dalla Cgia: i cali occupazionali principali sono previsti nei maggiori centri del mezzogiorno, mentre per il nord a soffrire di più sarà, ancora una volta, la Torino post Fiat (e forse anche post Juve). La crescita più impattante dei senza lavoro è prevista nelle aree provinciali di Napoli, Roma, Caserta, Latina, Frosinone, Bari, Messina, Catania, Siracusa e Torino.
Molto inquietante la circostanza che le maggiori sofferenze si concentrino su due regioni in particolare, Lazio e Sicilia, che da sole includono 6 tra le dieci province italiane stimate con le peggiori performance lavorative. Di contro, saranno le realtà di Milano, Perugia e Lucca a distinguersi per la propria capacità di assorbire la disoccupazione riportando 2600 persone nel circuito del mercato del lavoro attivo.
Ultimo significativo dettaglio: dallo scoppio della prima ondata pandemica di coronavirus a oggi, quindi nell’arco di due anni e mezzo, le attività indipendenti sono crollate di 205.000 unità, di fatto ridisegnando in peggio i nostri centri urbani, meno illuminati e sicuri. Sarà forse anche per tale ragione che il governo Meloni ha deciso di deliberare una estensione del regime della flat tax, o tassazione forfettaria piatta, fino a 85.000 euro di volume d’affari, con dubbi tuttavia di costituzionalità poiché trattasi di misura che eccepisce il principio fondamentale della progressività dell’imposizione fiscale.
Vi è tuttavia un altro rischio da considerare: il rinforzato sistema incentivante sul lavoro indipendente potrebbe portare all’auto-impiego un maggior numero di persone scoraggiate dalla avversa dinamica del mercato del lavoro alle dipendenze, con il rischio che aumentino le attività a basso valore aggiunto, fragili e non supportate da adeguate competenze finanziarie e manageriali di medio periodo.