Le cause, addotte dal nuovo capo dell’esecutivo e dai vari Ministri dedicati, sarebbero sostanzialmente due: la irrisolta farraginosità delle italiche procedure amministrative e la impennata subita dai prezzi delle materie prime che non rendono conveniente per le imprese prendere parte ai vari bandi di gara di volta in volta indetti.
Su questo secondo versante, il ministro delle finanze Giancarlo Giorgetti e il collega con delega ai rapporti con la UE, Raffaele Fitto, starebbero studiando un decreto con l’obiettivo di stanziare un fondo integrativo da dieci miliardi in maniera da venire incontro alle stazioni appaltanti e, in definitiva, a un sistema di aziende già di per sé in piena sofferenza per le sempre più insostenibili bollette elettriche.
Un fronte, quest’ultimo, sul quale l’Italia ha parecchio da recriminare nei confronti di Bruxelles a causa dei ritardi oramai insanabili nella fissazione di una comune linea di azione sul tetto massimo da imporre al prezzo del gas da importazione.
Secondo Giorgia Meloni, la vicenda sarebbe ancora più profonda e riguarderebbe lo stesso impianto previsionale del Pnrr, cristallizzato su tipologie di investimenti e di opere pubbliche superate da un sopraggiunto quadro emergenziale, a seguito della guerra russa in Ucraina, che impone una revisione delle priorità settoriali.

Queste ultime coincidenti, sostiene palazzo Chigi, con uno slancio da imprimere alla progettazione di reti infrastrutturali in campo energetico per aumentare la capacità autonoma dell’Italia di generare e di acquisire fonti elettriche e termiche non più esogene e slegate da mercati transnazionali troppo turbolenti e su cui Bruxelles non è in grado di incidere come dovrebbe. Sta di fatto che però qui il partito di Giorgia Meloni avrebbe il dovere di esprimersi recisamente sulla vicenda del rigassificatore di Piombino, osteggiato da un sindaco appartenente proprio al movimento politico della Premier.
In parallelo, sempre sul fronte dei rapporti non idilliaci di Roma con la UE si sta aprendo un’altra possibile faglia: il ministro del MEF Giorgetti ha infatti espresso semaforo verde nei confronti di un testo di mozione con il quale la maggioranza parlamentare di destra centro chiede di soprassedere a ogni intento di ratifica e recepimento del trattato, di riforma del meccanismo europeo di stabilità Mes, in attesa che sullo stesso si pronunci, a Berlino, la Corte costituzionale della Repubblica federale tedesca.
Il Mes è soprannominato altresì fondo salva Stati, e la sua applicazione viene abbinata alle ricette di austerità che furono inflitte dieci anni fa alla Grecia. Da allora a oggi molto è cambiato negli scenari, tanto che il meccanismo europeo di stabilità è stato reso più conveniente, rispetto al ricorso al mercato ordinario dei capitali e all’indebitamento a condizioni di tassi correnti, a partire dal 2020 dopo lo scoppio della pandemia per favorire il finanziamento dei sistemi sanitari. Opzione mai utilizzata, questa, né dal premier grillino Conte né dal successore Draghi che aveva l’avvocato del Popolo e la Lega salviniana nella propria coalizione di unità nazionale.
Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti