Meloni riduce la pace fiscale a mini tregua che è già scontro con i sindaci

Le aspettative della lega salviniana, che chiedeva un allargamento della platea dei contribuenti passibili di beneficiare di generosi sconti sulle cartelle esattoriali arretrate, escono nettamente ridimensionate: le possibilità di saldo e stralcio si circoscrivono alle contestazioni di importo unitario fino a mille euro – alle quali si applicheranno i meccanismi del saldo e stralcio, mentre per i debiti erariali di ammontare superiore varrà il principio del pagamento integrale dell’imposta, in un’unica soluzione o con modalità diluita in un arco quinquennale, con l’unica boccata di ossigeno di una sanzione ridotta al 5 per cento.

In bilico sarebbe anche la previsione, nella manovra di bilancio per il 2023, di una dichiarazione volontaria (“voluntary disclosure”, in pratica una forma di autodenuncia) per i capitali detenuti all’estero o nelle cassette di sicurezza da parte di cittadini residenti in Italia.

Il programma di governo, alla base dell’ampia vittoria elettorale di Giorgia Meloni alle politiche anticipate del 25 settembre scorso, prevedeva il ricorso a questa modalità di emersione spontanea di risparmi e patrimoni con l’obiettivo di favorirne il censimento e di assoggettarli a una definizione agevolata dal punto di vista sanzionatorio in modo da canalizzare tali stock di ricchezza verso obiettivi di sviluppo nazionale tramite la sottoscrizione vincolata di titoli di Stato o di conti correnti bancari.

Va ricordato, a proposito del dibattito sulla tipologia e sulla misura dello smaltimento del corposo cassetto di crediti affidati a Equitalia oggi agenzia entrate riscossione, questi ultimi sono stati quantificati in un ammontare che raggiunge i 1100 miliardi, con una aspettativa di esigibilità limitata ad appena il 6 per cento del totale: quindi, per ammissione stessa dei vertici dell’organo statale deputato al recupero coattivo delle somme pendenti, nelle casse erariali potrebbero tornare dai 60 ai 70 miliardi di euro.

Il sindaco di Bari e Presidente Anci Antonio Decaro

I sostenitori della pace fiscale allargata, a partire dalla lega e da ampi settori di forza Italia, ritengono che essa permetterebbe di conseguire incassi pressoché immediati utili sia a consentire di fronteggiare con risorse congrue l’emergenza delle bollette insostenibili, sia a favorire la piena emersione e regolarizzazione di attività aziendali e lavorative in linea di massima operanti in settori legali ma a oggi impossibilitate a contribuire alle entrate dello Stato per via della crisi generale e delle disfunzioni di un sistema esattoriale di fatto studiato per esasperare i debiti dei contribuenti senza risolverli.

La pace fiscale in versione bonsai rischia tuttavia di fare emergere ben altro, che nulla ha a che vedere con la messa in regola delle attività in crisi; e che riguarda invece un capitolo non trascurabile dei bilanci delle amministrazioni comunali costruiti, e ancor più pareggiati, contabilmente sui cosiddetti residui attivi. Questi ultimi sono in definitiva i crediti maturati ma da riscuotere, che come tali vengono iscritti in una sezione dello stato patrimoniale utile a bilanciare le passività, vale a dire le forme di finanziamento dell’ente in questione, nel caso specifico il livello di governo municipale.

Dal momento che la grandissima parte delle cartelle esattoriali, di importo unitario fino a mille euro, ricade nella casistica di tributi o sanzioni (la classica multa stradale) di competenza dei Comuni, questi ultimi hanno espresso la propria opposizione al disegno del Governo Meloni di procedere al condono in formato ridotto e circoscritto a una soglia pendente che, di fatto, andrebbe a incidere sui conti delle città. Per questo motivo, su iniziativa del primo cittadino di Bari, Antonio Decaro, l’associazione Anci, che riunisce i sindaci d’Italia, ha manifestato il proprio disappunto asserendo che la manovra del governo di destra centro causerebbe, ove portata in approvazione, un ammanco complessivo di un miliardo di euro.

Ferma rimanendo la presa d’atto di una simile rimostranza, viene tuttavia da chiedersi se non sia il caso di procedere a una revisione dei principi di contabilità alla base della formazione dei bilanci degli enti territoriali, in ragione della stretta commissione esistente tra gli stessi e un sistema esattoriale anacronistico volto a cristallizzare i debiti dei contribuenti, anche laddove essi siano apertamente inesigibili, e a farne quasi uno strumento di garanzia a continuità di politiche di spesa pubblica bisognose di reperire coperture diverse, o fiscali o debitorie o ulteriormente sanzionatorie.

Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti

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