Bollette, sugli extra-profitti pressing dei sindacati su Meloni

Al momento messi a disposizione soltanto i 9 miliardi provenienti dal fondo cassa dell’ex Governo Draghi, mentre per il 2023 si punta a un leggero aumento del deficit e a spendere un altro tipo di extra gettito, quello derivato dalle entrate erariali connesse a una crescita del PIL superiore a quella che si era prevista per l’anno in corso e oramai in conclusione tuttora segnato dagli effetti delle politiche del banchiere centrale e inventore del quantitative easing.


Nel corso del primo vertice tra il nuovo Esecutivo di destra centro e le forze di rappresentanza datoriale e del lavoro dipendente, oltre ai temi di metodo sono stati affrontati alcuni capitoli di merito relativi al costo del lavoro e alla tutela del potere d’acquisto, e alle fonti per il finanziamento di ognuna di queste voci che in precedenza erano state richiamate nel discorso e nelle repliche programmatiche di Meloni alle Camere del Parlamento.

Inevitabile è stato il riferimento delle organizzazioni sindacali alla questione di come rimodellare e rimodulare la norma sulla tassazione straordinaria degli utili realizzati in eccedenza dalle società energetiche e petrolifere, in considerazione degli eccezionali andamenti delle quotazioni internazionali che hanno permesso ricavi e quindi risultati economici al di sopra di ogni aspettativa e senza particolari impegni sul piano manageriale, né ritorni di preventivi investimenti in innovazione e produttività.

La proposta delle rappresentanze dell’universo lavorativo tendeva altresì ad ampliare il prelievo una tantum sui profitti eccedenti conseguiti, con le stesse dinamiche in premessa, dalle imprese di maggiori dimensioni attive in settori diversi. La risposta attesa al momento non si è però verificata, sebbene – quanto meno sul capitolo delle compagnie attive nella produzione e distribuzione di elettricità, gas e idrocarburi – il Ministro dell’industria (ex MISE) Adolfo Urso fin dal proprio insediamento al dicastero di via Veneto avesse sottolineato nella riscrittura migliorativa della legge Draghi in materia una opportunità per reperire i dieci miliardi non incassati dal predecessore di Meloni a palazzo Chigi e per evitare il ricorso, nell’immediato, a scostamenti tali da incrinare la credibilità Italiana sui mercati esteri chiamati a sottoscrivere e rinnovare quote decisive del nostro debito pubblico (incluse le più recenti emissione di BTP Italia indicizzati).

Il tema, sia chiaro, non riguarda solamente colossi di Stato o partecipate pubbliche centrali come ENI ed Enel, ma nello stesso tempo è estendibile all’universo delle oltre duecento aziende municipalizzate alcune delle quali hanno assunto dimensioni e capacità di influenza settoriale su perimetri oramai regionali o macroregionali del nostro Paese, e nelle quali gli enti locali e le amministrazioni comunali, in veste di azionisti industriali, molto potrebbero fare per orientare le scelte congiunturali in tema di destinazione delle quote di utile ovvero dei dividendi di spettanza. Il che, a ben vedere, era una componente del programma elettorale del partito del(la) Premier, i Fratelli d’Italia, e di molti suoi candidati parlamentari nei vari collegi elettorali.

Nel qual caso, la somma delle risorse da poter destinare alla compensazione dei rincari – relativi alle bollette già emesse – potrebbe salire ben oltre la soglia dei dieci miliardi. Al momento, il solo intervento prospettato fa riferimento alla possibilità per le imprese di rateizzare fino a un massimo di trentasei scadenze le fatture notificate dai fornitori di luce e gas, con la speranza di arrivare indenni alla prossima primavera e di poter beneficiare in successivi conguagli in base ai consumi reali nel frattempo intercorsi.

Sul versante famiglie si è al momento deciso di agire con strumenti indiretti, dallo sblocco della indicizzazione delle pensioni INPS alla elevazione della soglia di esenzione fiscale per i cosiddetti fringe benefits, ossia le componenti non monetarie della busta paga (inclusi i bonus bollette) da 600 a tremila euro annui.

Provvedimenti che non risolvono però, in linea generale, il grande interrogativo della maggioranza dei nuclei famigliari su come fare fronte ai rincari delle tariffe in assenza di redditi da lavoro e ai rischio di subire distacchi o sigilli a contatori e valvole a opera di fornitori a oggi non vincolati né limitati da alcuna norma ad hoc. Né sembra una soluzione abbastanza incisiva quella di ampliare il mercato tutelato che è quello dove trovano applicazione gli importi deliberati dalla autorità di vigilanza e regolazione ARERA la quale nella maggior parte dei casi altro non fa se non prendere atto dei borsini internazionali con alcuni correttivi sulla periodicità di emissione delle fatture e sulla “piazza” da cui prendere le quotazioni comparativamente meno salate.

Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti

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