Manovra, scende il bonus, sale la pensione

Il leghista Giancarlo Giorgetti, come Ministro dell’economia e delle finanze, firma con un impegno di spesa di 50 miliardi di euro il decreto che stabilisce per gli assegni dell’INPS un adeguamento medio di 7 punti e mezzo all’indice del costo della vita. In tal modo viene di fatto sancita l’archiviazione di uno dei punti più controversi della legge Fornero di riforma radicale della previdenza pubblica sotto l’allora Governo Monti: il blocco della perequazione, ossia della indicizzazione delle rendite pensionistiche a partire da un importo superiore a tre volte il minimo.

Un congelamento che avrebbe dovuto avere carattere temporaneo e durata biennale, ma che nei fatti si è protratto fino a oggi, resistendo anche a una pronuncia della corte costituzionale che imponeva la restituzione degli importi corrispondenti ai mancati adeguamenti ai pensionati ma che venne in gran parte disattesa dal decreto Renzi Poletti del 2016.

Successivamente, sarebbe stato il governo gialloverde di Giuseppe Conte, Ministro del lavoro e vicepremier Luigi di Maio, a negare per l’ennesima volta il pieno adeguamento degli assegni. Adesso, di fronte all’emergenza dell’inflazione energetica e alimentare, che viene indicata dalle banche centrali europee e americane come fenomeno se non strutturale di lunga durata, il governo Meloni ha calato la carta del rilancio del potere d’acquisto dei pensionati ripristinando nella sua integralità il concetto di inflazione programmata e cercando, relativamente agli assegni in corso che sempre più spesso sono fonte di sostentamento per intere famiglie, di evitare che la previdenza pubblica sia uno strumento per esigenze di cassa delle finanze statali.

Per il resto, la manovra del primo governo Meloni inizia a prendere forma promettendo di essere una legge finanziaria monotematica: il decreto aiuti quater sarà una anticipazione di quanto ci attenderà a fine anno con l’approvazione del documento previsionale e di bilancio per il 2023.

Sono confermati i primi nove miliardi e mezzo, peraltro ereditati da Mario Draghi, per fare fronte ai rincari delle bollette già notificate, mentre ulteriori 20 miliardi, peraltro la metà di quanto servirebbe per una moratoria totale sulle tariffe energetiche fino alla prossima primavera, saranno utilizzati sul capitolo dell’energia per tutto il corso dell’anno entrante: in che modo è attraverso quali strumenti di intervento, non è ancora dato sapere, così come non è chiaro se saranno ripartiti tra le voci relative agli oneri extra in bolletta, da abbattere e neutralizzare, e le politiche di sostegno alla diversificazione delle fonti di produzione e approvvigionamento e delle soluzioni di risparmio dei consumi di luce e gas.

Né risulta pervenuta una delle promesse che aveva assunto il ministro Adolfo Urso al momento del proprio insediamento come ministro dell’industria: nessuno scostamento di bilancio, anche se di fatto il deficit e il debito aumenteranno per dinamiche proprie, ma semmai una riscrittura della norma sul prelievo straordinario degli extra profitti delle compagnie energetiche affinché queste ultime non possano più impugnarla o disapplicarla e vengano obbligate a devolvere gli utili in eccedenza a un fondo di compensazione delle bollette non più sostenibili da parte di famiglie e imprese. Nulla di tutto ciò risulta fare parte del dibattito in corso tra gli alleati della coalizione di destra centro.

Se le pensioni comunque salgono, i bonus sono destinati a scendere: non solo quelli stabiliti da Mario Draghi per contrastare almeno in minima parte l’inflazione, e definiti inutili e dispersivi da Meloni, ma altresì quelli connessi all’edilizia a partire dal tanto contrastato 110 per cento che venne introdotto dal governo Conte due in piena pandemia con l’obiettivo di rilanciare l’economia a partire dall’edilizia con la creazione di una moneta fiscale. Il leader grillino lo aveva definito uno strumento di democrazia economica, in verità ha finito con il favorire una cerchia ristretta di proprietari immobiliari determinando non pochi episodi di utilizzo distorto dell’incentivo attraverso la possibilità di cederlo a terzi per monetizzarlo.

Un’altra tegola, è proprio il caso di dirlo, caduta sullo sgravio fiscale in questione è consistita nelle risultanze di una indagine condotta da alcune associazioni dedicate allo sviluppo delle energie rinnovabili: il bonus edilizio si è rivelato in gran parte inefficace al fine di promuovere obiettivi di contenimento del costo delle utenze energetiche che facevano apportare gli adeguamenti previsti dal super eco bonus. Un provvedimento, quest’ultimo, costato 55 miliardi di euro e che avrebbe dovuto efficientare gli edifici condominiali, gli appartamenti indipendenti e le villette unifamiliari.

L’orientamento del governo Meloni è a ricondurre la maxi detrazione Irpef, monetizzabile tramite cessione all’impresa esecutrice piuttosto che a una banca o a terzi, alla soglia del 90 per cento permettendo a una più ampia platea di contribuenti di beneficiarne.

Il ministro Giorgetti comunque su un punto è stato chiarissimo: la prossima legge di bilancio e di stabilità nasce principalmente con l’obiettivo di contrastare gli effetti economici e sociali dei rincari energetici, ogni altra misura dovrà finanziarsi all’interno del settore fiscale.

Per esempio, rafforzando la rottamazione e favorendo una pace fiscale che non sia solo una tregua ma consenta a interi settori, colpevoli solo di evasione incolpevole o di necessità, di regolarizzarsi e di ripartire subito dopo con slancio sul mercato emerso e legale, restituendo risorse (oggi non più recuperabili con i soli strumenti coattivi e forzosi) non soltanto al bilancio statale ma alle comunità locali e nazionale. Con l’estensione della pax tributaria, Giorgia Meloni e Giorgetti puntano a recuperare altri dieci preziosi miliardi, ma le rilevazioni della corte dei conti e della stessa ex Equitalia oggi agenzia entrate riscossione, dicono che realisticamente le somme recuperabili potrebbero essere 66 miliardi.

Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti

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