Italia e Germania, rivali solo in apparenza: alla fine vincerà il realismo industriale contro l’Austerity di Berlino su Roma

Al netto di sorrisi e strette di mano – che segnano un ritorno alla normalità dopo l’era covid – il vertice tra i ministri dell’economia e delle finanze di Roma e di Berlino, Giancarlo Giorgetti e Christian Lindner, non ha sortito risultati di sostanza. A confermarlo è la nota di stampa, assolutamente essenziale, diffusa a seguito del colloquio binazionale che era finalizzato anzitutto a una prima reciproca conoscenza, necessaria per il Governo tedesco di Olaf Scholz, dopo l’avvicendamento a Roma tra Mario Draghi e Giorgia Meloni e il conseguente passaggio di consegne da Daniele Franco al leghista moderato Giorgetti alla guida del MEF. Proprio quest’ultimo, recita il passo conclusivo del comunicato ufficiale, “ha evidenziato l’importanza che la UE abbia una politica e una strategia energetica comuni maggiormente incisive”.


Al di là delle formule diplomatiche del caso, obbligate dal contesto del meeting, traspare senza veli il disagio italiano nei confronti della mossa unilaterale assunta da Berlino con il varo di un maxi scostamento di bilancio da 200 miliardi di euro per contrastare gli effetti economici e sociali dei rincari energetici indotti dagli scenari bellici e speculativi internazionali. Un importo di quasi sette volte superiore ai 30 miliardi che il Governo Meloni ha annunciato di volere impegnare, attraverso la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza consegnato da Draghi, peraltro da qui a fine 2023 e attraverso un pacchetto di misure su cui rimangono molte divisioni all’interno della coalizione di destra centro.

Per quanto riguarda invece la manovra tedesca, il cancelliere Scholz e il ministro Lindner hanno già esplicitato nel dettaglio il merito dei provvedimenti che saranno utilizzati per calmierare le bollette, ridurre il carico fiscale sulle utenze familiari e aziendali, incentivare le produzioni rinnovabili e fissare un regime di prezzi amministrati per assicurare la continuità di consumi e investimenti sul mercato interno della prima economia industriale del vecchio Continente.

Allo stato attuale, Meloni e i suoi Ministri più esposti in trincea – da Giorgetti a Guido Crosetto, da Adolfo Urso a Francesco Lollobrigida – hanno a oggi escluso il ricorso a nuovi scostamenti nel bilancio statale di Roma, ma l’alternativa a questi per ora non è andata oltre la anticipazione di interventi, senz’altro doverosi, di “spending review” nei capitoli di spesa dei singoli ministeri per una somma che al massimo, entro il 2023, dovrebbe portare a non più di tre miliardi e mezzo di risparmi.

Va tuttavia argomentato che, per quanto con toni diversi i ministri di Giorgia Meloni abbiano manifestato disappunto o disagio nei confronti del piano antirincari di Olaf Scholz, quest’ultimo attiva almeno due benefici, neanche troppo indiretti, per il nostro Paese. Il primo di essi è la riduzione dello spread, ossia del differenziale nei tassi di rendimento tra i loro Bund e i nostri BTP, poiché se Berlino vuole attrarre capitali per finanziarsi deve fare uscire dalla soglia negativa i tassi di interesse a valere sui propri buoni pluriennali del tesoro, e ciò si traduce nella non sovraesposizione del nostro debito pubblico sui mercati internazionali e nella possibilità di recuperare risorse aggiuntive dalle economie della spesa dovuta sulle cedole dei BTP di nuova emissione.

Il secondo beneficio attiene invece al sistema produttivo della Germania, le cui industrie, avendo grazie al maxi scostamento la possibilità di non dovere interrompere le proprie lavorazioni a causa delle fatture di luce e gas, continueranno a domandare tecnologie e manufatti intermedi ad alto contenuto di tecnologia che rappresentano un tratto distintivo dei subfornitori made in Italy in ambiti come la robotica e le macchine necessarie all’edilizia, all’agricoltura e alla produzione di beni finali.

La particolare struttura economica reale renana, basti pensare alla Baviera ma anche al caso di altri Lander, è tale da non poter pensare di rimpiazzare, quanto meno nel breve e medio termine, le forniture dal nostro Paese. A dimostrarlo è il dato relativo al primo semestre dell’anno che evidenzia un interscambio binazionale vicino ai 90 miliardi di euro, indicatore di una tendenza destinata a non arrestarsi ma che, per ciò stesso, necessita di soluzioni che permettano alla manifattura di casa nostra di uscire indenne dalla “tempesta perfetta” di rincari energetici e nelle materie prime tali da imporre un più o meno lungo stop agli impianti per evitare la chiusura sic et simpliciter di intere catene di aziende di beni strumentali e di prodotti per settori trainanti come l’edilizia.

La Germania, al fine di non inimicarsi i Paesi produttori e fornitori di gas, si è finora opposta sia alla proposta di un tetto europeo al prezzo del gas, sia alla prospettiva di una forma di mutualizzazione di nuovo debito pubblico contratto dai Paesi dell’Unione più esposti alla spirale dei rincari internazionali – a partire da quelli del Sud come l’Italia ma non solo – e più bisognosi di reperire risorse a condizioni accessibili per scongiurare scenari di recessione che sarebbe non solo tecnica. E che, a questo punto, sarebbe per induzione dannosa per gli stessi interessi della locomotiva tedesca di cui l’Italia è uno dei vagoni di prima classe.

Il direttore editoriale Alessandro Zorgniotti

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