Soltanto la conoscenza precisa del funzionamento dei mercati e delle borse internazionali dell’elettricità e degli idrocarburi, così come dei meccanismi commerciali che regolano le attività di Eni, può fare in modo che si trovino soluzioni strutturali e non soltanto di pura contingenza nei confronti dei rincari tariffari al dettaglio oramai stabilizzati verso l’alto.
Un dato di fatto è certo: se non si correggono in misura incisiva le norme che disciplinano le autorità di vigilanza e controllo – nel caso italiano ARERA – e che ispirano la formazione dei prezzi di riferimento trimestrali dovuti dai consumatori e utilizzatori finali, paradossalmente gli aiuti pur doverosi e meritori messi a disposizione dal dimissionario governo Draghi rischiano di rivelarsi un boomerang sui contribuenti e un sussidio ai professionisti del rialzo dei prezzi delle bollette.
Va premesso, come già ricordato in nostri precedenti interventi, che le “piazze” dove si perfezionano le quotazioni di petrolio, gas naturale ed elettricità sono totalmente al di fuori della nostra giurisdizione, in quanto localizzate tra Paesi Bassi per quanto riguarda il gas e Nord America per quanto riguarda oro nero e luce.

L’Italia vive, dopo la fuoriuscita dalla fase più traumatica del Covid e l’ingresso, indiretto, nella guerra russa in Ucraina, una situazione paradossale: si trova in una situazione di emergenza energetica, si rivela il Paese più fragile sul piano della dipendenza esogena in ordine agli approvvigionamenti, eppure le statistiche ufficiali indicano in maniera oggettiva che la nostra Penisola è un “hub” esportatore di gas.
Un simile meccanismo è reso possibile dalle ampie licenze di cui gode l’Eni, lo storico glorioso felino a 6 zampe fondato dal grande Enrico Mattei e che – per mandato governativo – dovrebbe svolgere una funzione di ente importatore, in comunione con Enel, per conferire il gas stesso a prezzo mitigato in maniera da assicurare la sostenibilità economica di famiglie consumatrici, aziende utilizzatrici, e a un tempo un ragionevole equilibrio di bilancio di tali prestigiose società partecipate.
Così purtroppo non è avvenuto e non sta avvenendo, poiché l’Eni opera come soggetto importatore, pagando il gas acquistato a prezzo doganale, dopo di che lo cede – basandosi sulle modalità negoziali della borsa attiva nei Paesi Bassi che applica i cosiddetti futures – a grossisti e altri intermediari, ricavandone un margine economico molto ampio e generoso. Frattanto, la materia prima in oggetto viene a propria volta così esportata, con il paradosso di un’Italia in emergenza tariffaria ma nella condizione di Stato esportatore.
Nel frattempo, nonostante il collegamento del gasdotto Tap che ci relaziona direttamente con la regione adriatica e con l’Albania, la mancanza di una precisa direttiva strategica, in capo a Eni, da parte dei ministri Giorgetti (sviluppo economico) e Cingolani (ambiente e transizione ecologica), fa sì che il nostro Paese sia sistematicamente messo fuori dalle grandi partite geopolitiche che si svolgono nei Balcani occidentali, in pratica a est della Puglia, e che vedono un protagonismo sempre più spiccato di Francia (nel fotovoltaico), Olanda (mulini eolici), Stati Uniti d’America (rigassificazione) e adesso anche Spagna (ricerca sotterranea degli idrocarburi).
Due le soluzioni per uscire dalla contingenza della logica del sussidio che, come tale, non arriverà mai totalmente a coprire la extra bolletta di famiglie e PMI e rischia a un tempo di diventare un sussidio improprio ai grossisti energetici: una riforma dell’autorità di settore ARERA, che abbia giurisdizione nei confronti delle attività di Eni affinché da player nell’import-export di gas e idrocarburi torni a essere attore industriale nella ricerca e nella produzione di energia da fonti sia tradizionali che rinnovabili, e una revisione del sistema di formazione dei prezzi che una volta per tutte abbandoni il perverso criterio della considerazione dell’ultimo megawatt ora di elettricità prodotta con il gas naturale.
Un sistema oramai inconcepibile e per effetto del quale tutta l’energia, compresa quella prodotta da fonti rinnovabili, viene a costare come se fosse stata tutta generata da fonti fossili.
In pratica, è come se anche la più autosufficiente delle utenze domestiche o aziendali fosse vincolata da un contratto di allacciamento al servizio pubblico e agli oneri di sistema.
Fino a quando un tale paradosso non sarà risolto, e non si ragionerà in termini di macroregione energetica mediterranea e adriatico ionica, la lotta al rincaro delle bollette continuerà a essere condotta con strumenti inidonei e doppiamente costosi per i contribuenti medi.
L’editoriale di AZ