Mattarella rinvia Draghi alle Camere per la verifica della permanenza della fiducia al governo, a traballare sono risorse nazionali ed europee per 35 miliardi. La crisi di governo che potrebbe deflagrare dopo la conversione in legge del cosiddetto decreto aiuti, altro non è che l’epilogo di un amore politicamente mai nato tra un ex premier e l’attuale inquilino di palazzo Chigi: Conte e Draghi, due leader mai così agli antipodi, accomunati però – secondo la logica infallibile degli estremi che sempre si ricongiungono – dalla circostanza di essere entrambi giunti alla presidenza del Governo senza alcuna preventiva designazione popolare e, particolare ancora più curioso, di dovere a Renzi la permanenza a capo dell’esecutivo (il Conte 2 nacque grazie ai voti decisivi di Italia Viva) ovvero l’ascesa allo stesso, nel caso di Draghi.
Se però per salvare il bis-Conte non bastò l’appello all’unità contro l’emergenza pandemica, per salvare la coalizione sorta intorno alla figura dell’ex presidente della BCE potrebbe non bastare l’esigenza di evitare strappi nella maggioranza sullo sfondo della guerra russa in Ucraina.
L’avvicinarsi della campagna elettorale, che dovrebbe fisiologicamente condurre al rinnovo di Camera e Senato entro il maggio 2023, sta portando il leader grillino Conte, orfano oramai del ministro degli esteri Luigi Di Maio divenuto il vero supporter di Draghi tanto da avere creato in suo onore il gruppo parlamentare Insieme per il futuro, a emulare il gesto che venne compiuto da Salvini due estati fa e che ebbe come vittima proprio l’avvocato del Popolo: non appoggiare più il Governo sulla delicata partita del decreto Aiuti, la cui conversione legislativa si salda a filo doppio alla partita dell’ottenimento, per l’Italia, dell’ulteriore rata dei fondi europei del Pnrr.
A traballare, sono all’incirca 35 miliardi, dedicati al contenimento della pressione inflazionistica su famiglie e imprese e alla messa in cantiere di alcuni progetti attuativi del documento italiano di recepimento del recovery fund della Commissione UE.
Sono risorse sufficienti? Chiaramente no, perché il disinnesco della inflazione da offerta si ottiene non comprimendo il potere d’acquisto di salari e pensioni, ma agendo sui fattori che impediscono di riattivare la catena di formazione e approvvigionamento di tale offerta, nello specifico di energia e materie prime, così da stroncare ogni forma di speculazione che si abbatte su tariffe e prezzi anche quando la disponibilità di risorse non cala in assoluto.
Così come il Conte uno cadde perché la Lega di Salvini cercava la rottura sul collegamento ferroviario TAV Lione Torino, non accettato da una parte dei grillini, allo stesso modo la componente “contiana” della maggioranza di unità nazionale pone condizioni, a partire dal pieno salvataggio del reddito di cittadinanza e del super eco bonus, altrettanto non accettabili dall’area più vicina all’ex Banchiere centrale europeo.
Guardando al freddo pallottoliere, la fuoriuscita dei grillini non confluiti con Di Maio non metterebbe a rischio i numeri necessari a Draghi per fare approvare i fondamentali provvedimenti di fine legislatura; guardando però al caldo clima politico, la maggioranza aritmetica perderebbe la valenza politica delle origini, archiviando le ambizioni di unità nazionale per circoscrivere le stesse alla contesa dell’eterno Derby di ogni fine legislatura tra governisti e “bene altristi”. Con il solito drappello di “terzo polisti” intenti a salvare i fatidici diritti acquisiti, ma quali? I nostri, forse, ma anzitutto quelli del proprio vitalizio.
L’editoriale di AZ