L’allarme dell’associazione dei fondi e dei gestori patrimoniali EFAMA e la ricetta in 3D, nell’ultimo report annuale, ribadisce i preziosi concetti di educazione finanziaria del Banchiere internazionale Beppe Ghisolfi. Diversificazione del rischio, destinazione informata del risparmio, detassazione a favore dei depositanti bancari: sono le 3 D che delineano altresì le 3 dimensioni per tutelare i patrimoni monetari delle famiglie italiane ed europee da quella “odiosa tassa sui poveri” (citazione di Luigi Einaudi) che era e rimane oggi più che mai l’inflazione.
Mesi fa, in un proprio seguito video editoriale pubblicato sul nostro giornale, era stato il Banchiere internazionale e saggista finanziario Beppe Ghisolfi, attualmente in volo verso Parigi per l’assemblea annuale dell’istituto mondiale delle casse di risparmio WSBI, a parlare della necessità di incoraggiare fiscalmente su base volontaria, le famiglie depositanti a destinare una quota dei propri patrimoni monetari giacenti in titoli garantiti dallo Stato per integrare gli investimenti produttivi e infrastrutturali nei settori strategici già previsti dalla programmazione europea e dal Pnrr.
Una soluzione che, senza forzature né azioni costrittive verso i risparmiatori interessati, avrebbe l’ulteriore effetto di calmierare stabilmente il famigerato spread e di ridurre in modo sistemico la dipendenza dell’Italia dalla volatilità dei mercati internazionali inevitabilmente turbolenti in tempi emergenziali come gli attuali. La crescita del saldo dei depositi accantonati sui conti correnti ha avuto una curva molto significativa a partire dallo shock pandemico di due anni fa, e ora sta proseguendo. Lo stesso Pnrr della Commissione di Bruxelles, così come lo scudo anti spread della BCE, non riflettono risorse a fondo perduto o prive di prescrizioni, anzi stabiliscono delle condizionalità stringenti.

Di questo, le istituzioni del governo italiano, e gli enti a esso strumentali, sembrano essersi resi conto: dopo il BTP Italia anti inflazione, il cui collocamento si è da poco concluso, adesso è la volta della cassa depositi e prestiti, altra decisiva cassaforte del risparmio diffuso, muoversi nella stessa direzione, attraverso il dichiarato e annunciato aumento dei tassi di rendimento calcolati sui buoni fruttiferi postali di nuova emissione, con l’obiettivo di tutelare i sottoscrittori di tali titoli – espressione di una forma di accantonamento storica e caratteristica del risparmiatore italiano medio – nei confronti dell’aumento del livello generale dei prezzi.
La questione è reale, come ha sottolineato l’associazione di settore professionale EFAMA: a livello comunitario europeo, tra fine 2016 e fine 2021, lo stock complessivo dei depositi bancari è cresciuto da 10.321 a 13.375 miliardi di euro. Per effetto dell’andamento dell’inflazione, tuttavia, a fine 2021 i depositi accertati a fine 2016 valevano in termini reali 9.515 miliardi di euro. Permanendo un tasso di inflazione pari a 6,8 punti, come stimato dalla Commissione UE, la perdita stimata di potere d’acquisto entro la fine di quest’anno sarà di 1.412 miliardi, con una penalità di quasi 2.800 euro per ciascun nucleo familiare.
Questo significa, più semplicemente e banalmente, che i piani di incentivo e sostegno alla diversificazione del rischio e degli investimenti dovranno tendere a colmare tale perdita reale. Due settimane fa, sulla stessa lunghezza d’onda, il presidente della Consob, l’ex ministro Paolo Savona, ha lanciato l’idea di un portafoglio anti-inflazione che, attraverso adeguati strumenti giuridici e legali, assicuri il pieno recupero del potere d’acquisto in un mix bilanciato tra investimenti mobiliari, in titoli di proprietà d’impresa, obbligazioni sovrane, investimenti immobiliari connessi a piani di espansione produttiva, e acquisti di valuta vigente nei Paesi di destinazione delle nostre esportazioni.
Le simulazioni calcolate dal presidente della Consob hanno calcolato che grazie a un simile paniere diversificato gli effetti legati all’inflazione e alla svalutazione sarebbero stati pressoché totalmente neutralizzati. Peccato però, come ricordato a più riprese dal Professor Ghisolfi, che soltanto meno di un italiano su dieci conosca o sappia dare una definizione al concetto di diversificazione.
L’editoriale di AZ