Il più recente nato all’ombra delle ambizioni centriste – insieme per il futuro del ministro Luigi Di Maio – è la conferma, semmai ve ne fosse stata la necessità, dei movimenti non politici ma tellurici che inevitabilmente accompagnano gli ultimi mesi di vita di ogni legislatura parlamentare della seconda Repubblica, dove il forzato bipolarismo italico si abbina quasi inevitabilmente a nostalgie del partitismo che fu.
Il grande centro, che fa parte della letteratura dei libri di storia contemporanea, ha da tempo, da trent’anni oramai, ceduto il posto a un florilegio di centrini tanto ambiziosi nei nomi quanto ridimensionati dalle scelte effettive e finali degli elettori votanti. Il riferimento al concetto di futuro non è nuovo, se si considera che una delle più famose scissioni della seconda Repubblica, se non la più roboante in fatto di precedente creato, portò nel 2010 alla costituzione della formazione Futuro e libertà, promossa dall’allora presidente della Camera Gianfranco Fini in dissenso dal Popolo della libertà di Silvio Berlusconi, formazione che però a dispetto del nome di avvenire ne ebbe assai poco ed evaporò definitivamente alla conclusione dell’esperienza del governo tecnico e poi politico centrista di Mario Monti.

Adesso il futuro porta il nome di Luigi Di Maio, ex più giovane vicepresidente della Camera, ex vicepremier gialloverde e ministro a un tempo dell’industria e del lavoro nel Conte uno con Salvini collega pari grado, quindi a capo della diplomazia Italiana nel mondo nel Conte due giallorosso e infine nello stesso ruolo nel governo arcobaleno di unità nazionale di Mario Draghi.
Occorre svolgere alcune premesse: la scissione dentro quello che resta del movimento grillino è avvenuta a seguito dei molto deludenti risultati del primo turno delle elezioni comunali, dove la formazione guidata dall’ex avvocato del Popolo Giuseppe Conte è stata ridotta ai minimi termini sia dall’astensione, sia dalla scelta dei votanti di tornare al partito democratico di Letta o per i più populisti di preferire i fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
Numerosi parlamentari grillini giunti oramai al secondo mandato, tra cui lo stesso Di Maio, di fronte alla prospettiva di una debacle alle Politiche del prossimo anno, hanno pertanto deciso di mettersi in proprio: all’appello hanno aderito a oggi oltre sessanta tra deputati e senatori. L’obiettivo della neo costituita sigla centrista è duplice: piena e incondizionata fedeltà a Mario Draghi e alla sua linea atlantista, e creazione di una rete di collegamenti con il mondo delle amministrazioni locali e delle associazioni territoriali di categoria
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La sensazione è che Di Maio abbia voluto agire in contropiede rispetto alla prospettiva di una espulsione dal movimento 5 stelle che avrebbe incrinato anche la sua legittimità a continuare a ricoprire il ruolo di capo delle Farnesina. Per intanto, le conseguenze di una tale iniziativa potrebbero andare bene al di là delle legittime ambizioni personali nei confronti della salvaguardia di un pur primario e rilevante incarico politico istituzionale: la scissione porta infatti, nel Parlamento in carica ma in scadenza tra dieci mesi, le truppe grilline a essere la seconda forza della coalizione, alle spalle della Lega di Salvini che adesso potrebbe avere qualche voce in capitolo in più nel ridimensionare quel reddito di cittadinanza – introdotto dal Di Maio prima versione – mai accettato sino in fondo dall’ala di centro destra della maggioranza Draghi e fonte, tuttora, di decine di frodi accertate in tutto il Paese.
Sarà comunque la prossima legge di stabilità ex finanziaria – quella preelettorale di fine legislatura – a indicare i reali rapporti di forza con cui le tre coalizioni, destra, sinistra e centro, si presenteranno ai nastri di partenza di una campagna elettorale le cui promesse potranno contare sull’ultimo anno di benevola sospensione del fiscal compact da parte della commissione europea. Un dato è certo: la corsa al centro, dopo la fine della DC, non ha mai portato i suoi corridori a ritrovare l’unità, semmai è stata una corsa a dividersi sempre di più al proprio interno.
L’editoriale di AZ