Delega fiscale: tanto tuonò che pioverà solo con il futuro governo. E applicarla richiederà molta Educazione finanziaria

La Camera dei deputati ha emesso il primo sì. Ma tanto tuonò, sulla delega fiscale, che alla fine pioverà solo con il nuovo Governo: quello successivo a Draghi, o un Draghi bis (come auspica la pattuglia sempre più ampia di riformisti), in ogni caso a partire dalla prossima legislatura. Infatti, il testo – che reca un complesso articolato di principi e criteri direttivi – deve ottenere a oggi il semaforo verde finale dall’aula del Senato; dopo di che, il Governo, l’attuale o il prossimo, avrà fino a 18 mesi di tempo per scrivere e portare in approvazione di decreti legislativi delegati di attuazione, che come tali non richiedono più un definitivo varo parlamentare ma soltanto un passaggio consultivo presso le competenti commissioni di Montecitorio e di palazzo Madama.

Il primo dei princìpi, sui quali si è impuntata in particolare la componente di centrodestra della maggioranza bipolare di Draghi, è che il pacchetto di provvedimenti fiscali, destinato a configurare il nuovo quadro tributario del Paese, non comporti una maggiore pressione impositiva su patrimoni e redditi, ma si traduca in una redistribuzione del carico della tassazione su una base imponibile che tuttavia, a causa dell’erosione inflazionistica, sta già ora subendo una svalutazione di oltre 6 punti (la cosiddetta tassa sui poveri di einaudiana memoria).

Mentre il dibattito pubblico è monopolizzato dalla crisi grillina dentro la maggioranza di Draghi, la delega fiscale cambia strutturalmente molte voci d’imposta a cui ci eravamo abituati

Vi è tuttavia un punto da sviscerare immediatamente. La delega fiscale al Governo parla di invarianza del carico tributario complessivo e globale. È nei dettagli più minuti che si annidano le clausole più diaboliche. Il perché è presto detto: quella vigente finora non è la pressione fiscale alla soglia più alta consentita dalla legislazione in corso, poiché alcuni margini dell’autonomia locale e regionale ammettono la possibilità di esenzioni parziali o totali per alcune categorie di contribuenti al fine di perseguire l’equità sociale o di incentivare taluni settori di investimento.

Che cosa accadrà quando – come è stabilito dalla legge di delegazione – alle addizionali di Comuni e Regioni subentreranno, in capo alla potestà impositiva degli stessi, le cosiddette sovraimposte? Anzitutto, che cosa sono queste ultime? Anche in tal caso viene in aiuto l’educazione finanziaria, a conferma dell’utilità indispensabile di essa per decodificare le decisioni economiche di approvazione politica e approntare, come più volte sottolineato dal pioniere della materia Professor Beppe Ghisolfi, i necessari e opportuni correttivi di macro o micro economia.

Sovraimposta, addizionale, gettito, accertamento, riscossione: l’educazione finanziaria può fare la differenza anche nel fisco

L’ordinamento tributario in vigore prevede un sistema articolato non in sovra imposte ma in addizionali, soprattutto in ambito Irpef, l’imposta sui redditi delle persone fisiche: si tratta della possibilità di incrementare di una certa misura l’aliquota statale sulla stessa base imponibile di legge, con opzioni tra un minimo e un massimo entro cui ogni ente locale e territoriale può stabilire delle fasce di sconto o di esonero dall’addizionale stessa in maniera da non penalizzare i redditi medio bassi da pensione o da lavoro autonomo o dipendente.
La sovraimposta non è l’aumento percentuale di una aliquota centrale, ma corrisponde a un tributo nuovo sic et simpliciter, che si applica non più alla base imponibile ma al debito fiscale, e che ai sensi della delega uscita dal voto della Camera avrà il solo vincolo di non superare il tetto massimo oggi consentito di pressione tributaria.

Una differenza non di scarso conto, se si considera che la prima conseguenza sarà la venuta meno degli attuali margini di manovrabilità “politica” delle addizionali da parte della singola amministrazione territoriale o ente impositore. Questo comporterà in definitiva non unicamente una redistribuzione dell’attuale livello di imposizione, ma per diverse categorie di contribuenti un vero e proprio aumento netto del tributo da versare: aumento che alcune proiezioni hanno già quantificato in 1200 euro a carico di un reddito medio, mentre il saldo rimarrà invariato per gli imponibili più bassi, sempre però con il rischio di scivolamento verso il segno “meno”.

Vi è poi l’altro capitolo del recepimento dei dettami europei del New Green deal che impatterà sulla fiscalità, per esempio, delle automobili e dei loro carburanti, andando probabilmente a penalizzare le fasce di cittadini in maggiori difficoltà materiali nella sostituzione del proprio veicolo da un modello a benzina o a gasolio, che in futuro saranno tassati con il medesimo livello di accisa, a un altro per esempio ad alimentazione elettrica o ibrida. Insomma, parafrasando Beppe Ghisolfi, l’educazione finanziaria serve a occuparsi attivamente di economia anche fiscale, per evitare che sia quest’ultima a occuparsi di noi.

L’editoriale di AZ

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