Lagarde sposa la realpolitik: la BCE taglia le ali ai rialzisti dello Spread

La presidente della BCE porta in approvazione la proroga mirata del piano antipandemico PEPP per fermare la corsa dei differenziali nei rendimenti di BTP e Bund. Rimane da chiedersi come mai, nell’arco degli ultimi due anni, prima con l’avvento dello shock del Covid e ora con il rischio di forti recessioni da economia di guerra, la massima rappresentante della Banca centrale di Francoforte abbia, con le proprie dichiarazioni tra l’incauto e il non ponderato, esposto il nostro Paese ad altrettanti forti scossoni speculativi, tanto da rendere necessario, nella primavera del 2020, l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Tanto tuonò che alla fine non piovve. Anche se, purtroppo, i tuoni sui mercati finanziari lasciano sempre conseguenze successive, come in certi temporali di breve durata dove per quanto relativamente circoscritti si verificano incendi e allagamenti.

Purtroppo, pochi giorni fa così come nella primavera del 2020 quando l’Italia stava per essere travolta dalla prima ondata della pandemia da coronavirus, le dichiarazioni di Christine Lagarde, massima rappresentante della BCE, per la seconda volta ci hanno fatto rimpiangere la circostanza che Mario Draghi non sia più il presidente della Eurotower di Francoforte.

Il copione è stato quello solito: prima si rilasciano dichiarazioni non univoche, o tali da fare intendere che la lotta agli spread non sarebbe tra i compiti primari della Banca centrale europea; poi, di fronte ai conseguenti attacchi dei movimenti speculativi, che anticipano il rialzo dei tassi di interesse o che decretano la vendita massiva di titoli del debito pubblico, allora la stessa Lagarde scioglie gli indugi e annuncia a chiare parole che sì, la BCE metterà in moto lo scudo contro la lievitazione dello spread, che dopo tale dichiarazione è infatti sceso in maniera netta al di sotto della soglia allarmante dei 230 punti base.

Su un punto si può essere naturalmente concordi: la BCE, come ente compratore e re-investitore di ultima istanza dei buoni pluriennali del Tesoro, non può né deve in assoluto surrogare o supplire alle responsabilità di una politica economica avveduta e lungimirante, in grado di fare prevalere le ragioni della spesa per investimenti in ricerca, formazione e infrastrutture su quelle della spesa corrente a fondo perduto e non vincolata a obiettivi di produttività, merito professionale ed efficiente ricollocazione dei fattori della produzione. In ciò risiede il reiterato richiamo all’Italia, in considerazione del rischio connesso all’ingresso in una prolungata fase di campagna elettorale dove la tentazione di politiche puramente re-distributive, fondate su una crescita economica insufficiente o solo presunta e rinviata al futuro, e pertanto a debito, costituisce l’orientamento prevalente e politicamente trasversale.

La BCE è chiamata, per statuto e ai sensi di un’applicazione dei trattati istitutivi dell’Unione Europea che sia sensibile ai cambiamenti dei modelli sociali e dei cicli tecnologici – in ossequio a quella che in Italia chiameremmo la differenza tra Costituzione formale e Costituzione materiale – a svolgere compiti di stabilizzazione della politica monetaria su mercati sempre più interdipendenti e nei quali magari lo stesso livello di inflazione ha radici e cause diverse. Pertanto, le deliberazioni adottate dai colleghi della Federal reserve di Washington, che comunque incidono per effetto trasmissivo sulle condizioni dei tassi e degli interessi in Europa, possono risultare inopportune o meno efficaci in un contesto come quello del vecchio Continente dove il maggiore costo della vita dipende da manovre esogene sulle materie prime, come per esempio la più recente scelta unilaterale dei russi di Gazprom di ridurre le forniture di idrocarburi all’Italia.

Perciò la politica monetaria deve racchiudere in sé sempre alcune dosi più o meno sostanziali di politica economica; e ciò può solo ottenersi sostenendo misure che, in modo contestuale alla lotta contro l’inflazione soprattutto da offerta (e non da domanda come oltre Atlantico), crei le condizioni per giusti apporti di liquidità necessari a realizzare piani di investimento nelle attività di innovazione, reindustrializzazione, riqualificazione del capitale umano professionale, creazione di un mercato dei capitali monetari privati e anche pubblici (BTP Italia o simili) che investano in società o in progetti di rete profittevoli.

La BCE attuerà lo scudo anti-spread in forme personalizzate, ossia orientando la ripresa del piano antipandemico PEPP verso l’acquisto o il reinvestimento nei titoli di Stato di quei Paesi maggiormente esposti alla volatilità dei mercati a causa, anzitutto, di livelli di debiti sovrani storici considerati non sostenibili in rapporto a redditi nazionali stagnanti. È il caso dell’Italia, anche se va detto – in ossequio a un paradosso apparente – che mentre i BTP detenuti dalla BCE non raggiungono lo stock totale dei 300 miliardi, i Bund tedeschi oggi nel portafoglio della Eurotower di Francoforte sommano a oltre 400 miliardi, in ragione della maggiore capacità negoziale di Berlino in Europa in virtù di un più basso rapporto tra debito storico e reddito nazionale.

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