Lo spread? Una tassa – come la definì Beppe Ghisolfi – che rischia di costarci 26 miliardi annui

Le mancate rassicurazioni della presidente della BCE, Christine Lagarde, hanno legittimato i movimenti speculativi esterni a prendere di mira i titoli sovrani italiani, di fatto anticipando le prossime manovre della politica monetaria di Francoforte. Lo spread? Per conoscerne e comprenderne in pieno la corretta definizione, e implicazione pratica, il rimando opportuno e necessario è alla produzione manualistica del Banchiere scrittore Beppe Ghisolfi. Soltanto così è possibile decodificare quanto sta succedendo sulle piazze finanziarie a seguito delle dichiarazioni della presidente della BCE Christine Lagarde, nelle quali il non detto prevale per importanza sulle parole pronunciate.

Il non detto, nel caso in specie, riguarda una rassicurazione definitiva in merito a misure che assicurino uno scudo contro le speculazioni al rialzo volte a incrementare lo spread e a sminuire di conseguenza il valore dei BTP: con effetti che, dal bilancio dello Stato, si sposterebbero su quelli delle banche retail, quelle per inciso dove ognuno di noi si reca ogni giorno agli sportelli, che detengono in portafoglio buoni pluriennali del tesoro per un totale di 400 miliardi di euro.

Il contributo degli istituti di credito a favore della calmierazione dell’onere del debito pubblico – come più volte ricordato dal presidente di ABI Antonio Patuelli – è decisivo ancora di più in una fase di sopraggiunto disimpegno della BCE. Insomma, si annuncia molto ostica la scelta fra la tassa della inflazione, contro la quale sta per schierarsi la politica monetaria di Francoforte di abbandono della linea dei tassi negativi e dei tassi zero – e quella dello spread, che rischia di presentare allo Stato un conto da 26 miliardi annui, in pratica quanto è costato il reddito di cittadinanza.

L’editoriale di AZ

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