Open Balkans: grazie al governo Rama una opportunità storica anche per l’Italia

L’iniziativa Open Balkans è un progetto avviato dal governo albanese di Edi Rama con l’obiettivo di ridurre progressivamente le limitazioni amministrative e i costi doganali all’interno dell’area vasta Balcanica, per la libera circolazione del lavoro, dei prodotti agricoli, zootecnici e veterinari, per la promozione del turismo e per la realizzazione di progetti sovranazionali nei settori dell’energia, dei trasporti e dei capitali. Per tutti questi motivi si tende a parlare di mini Schengen: infatti l’altro obiettivo strategico è di accelerare il cammino di integrazione con Bruxelles a partire da interscambi, con i Paesi UE direttamente confinanti con quelli di Open Balkans, più reciproci e agevoli degli attuali.

Attualmente i Paesi aderenti all’operazione Balcani aperti sono Albania, Serbia e Nord Macedonia. Più di recente, anche il Montenegro – dopo l’insediamento di un Premier di origini albanesi – ha espresso l’interesse ad aderire. A oggi, sono 5 i trattati firmati dai Governi di Tirana, Belgrado e Skopje, con un focus speciale sull’agricoltura.

Il Kosovo, a causa delle tensioni storiche con la Serbia, ha scelto una posizione di tipo attendista, purtuttavia il Governo di Pristina ha firmato con Rama una serie di accordi bilaterali con analoghe finalità di rafforzamento dei liberi scambi. Per i motivi sopra specificati, e per una espressa volontà del governo d’Albania che è accettata da Serbia e Macedonia del Nord, sul finire dello scorso dicembre Edi Rama ha annunciato il proposito di invitare, entro la prima metà di quest’anno , al tavolo di Open Balkans i Governi di Italia, Grecia e Ungheria, al fine di estendere i benefici delle semplificazioni amministrative e doganali alle regioni UE frontaliere, con vantaggi che siano rilevanti in particolare nei settori della cooperazione agricola, veterinaria e del turismo.

Sebbene sia in corso la guerra russa in Ucraina, le tre parti istituzionali contraenti gli accordi Open Balkans hanno confermato l’intendimento di portare avanti, secondo il cronoprogramma concertato, le fasi attuative delle varie intese, come confermato da atti concreti quali la solidarietà espressa dal presidente serbo Vucic nei confronti del mercato albanese a cui è stata assicurata la fornitura continuativa dei cereali.
Uno dei punti di forza del progetto dei Balcani aperti, infatti, è la flessibilità, che per esempio consente ai singoli Governi contraenti di continuare a gestire con modalità sovrane i propri rapporti espansivi con i Paesi terzi, negli stessi settori, il che ammette spazi di azione molto più ampi della semplice somma algebrica dei partecipanti, con la possibilità di contenere gli shock interni connessi a emergenze non di rado speculative di tipo inflazionistico, alimentare, energetico.

Nello specifico dell’ambito cerealicolo, attualmente l’Albania garantisce una produzione giornaliera di 1800 tonnellate di farina, a fronte di un fabbisogno di 700 tonnellate, come dichiarato da Theodor Kristuli Presidente dell’Unione nazionale dei commercianti agroalimentari. La possibilità per Italia, Grecia e Ungheria di partecipare alle attività e ai gruppi di lavoro del progetto Open Balkans, per sostituire alle barriere ai confini della UE i canali di dialogo su energia e materie prime agricole, è quindi una opportunità storica per tendere a quella autosufficienza che, adesso, non è più rinviabile.

Da aggiungere – in senso rafforzativo – che, fino a conclusione di 2022, l’Albania manterrà la presidenza del Consiglio dei ministri delle politiche agricole dell’Europa Sud orientale e che, nel 2024, assumerà la presidenza di turno della conferenza regionale della FAO.

L’editoriale di AZ

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