Già nel 2017 il Banchiere scrittore Beppe Ghisolfi, svolgendo una lectio alla scuola D’Azeglio di Torino, aveva definito tali monete digitali al pari di una “scommessa” con tutte le conseguenze del caso. La spiegazione nel best seller Lessico finanziario dove la definizione viene sviluppata dallo specialista Paolo Tasca, direttore del centro di tecnologia blockchain dell’università di Londra. Le criptomonete non sono, né mai potrebbero esserlo, un bene rifugio contro fenomeni recessivi come un alto tasso di inflazione.
Quanti, alle prese con la già in sé non semplice cognizione del funzionamento dei sistemi monetari tradizionali gestiti dalle Banche centrali e commerciali fisiche, avevano immaginato una forma di “democrazia valutaria” non più centralizzata, a livello statale o europeo per esempio, ma decentrata nei registri digitali e immutabili delle blockchain (letteralmente, “catena di blocchi”), dovranno rapidamente riprendere i Manuali di educazione finanziaria e i testi delle lezioni svolte dal Banchiere internazionale e scrittore Beppe Ghisolfi fin dal 2017: anno in cui criptomonete parevano essere sinonimo di Bitcoin (e viceversa) quando invece se ne potevano fin da allora censire all’incirca un migliaio sebbene il Bitcoin rappresentasse oltre il 40 per cento del mercato delle “cripto”.
A inizio dicembre del 2017, nel corso di una lectio di alfabetizzazione economica preordinata a Torino, agli alunni della scuola D’Azeglio, assieme alla fondazione FEDUF – ABI, il Professor Ghisolfi ebbe a definire la criptovaluta non un bene rifugio, bensì a tutti gli effetti, anche e soprattutto tecnici, una “scommessa” fortemente influenzata dagli andamenti dei titoli delle società tecnologiche, a propria volta condizionate da fattori come i costi dell’energia elettrica – fattore decisivo per fare funzionare le “miniere” digitali per la produzione delle cripto – o la crisi nell’approvvigionamento di qualche minerale o “terra rara”, come il litio o il rame, fondamentale per realizzare i congegni elettronici e di trasmissione.
Alcuni esperti di economia delle monete decentralizzate sono arrivati, in recenti dichiarazioni rilasciate ai giornali, a comparare il calo verticale delle criptovalute, stimato in molte decine di miliardi di dollari, alla grande crisi delle obbligazioni derivate e sovrane del periodo 2007-2011. Un dato è più che certo: in nessuna epoca storica si è mai avuto il caso di monete veramente indipendenti, basti pensare al petrodollaro o a quando vigeva la parità con l’oro; è sempre esistito il collegamento con qualche tipo di bene preesistente di riconosciuto valore economico e sociale.
Ragione per cui, nel corso della propria relazione all’assemblea della Consob, la commissione di vigilanza sulle società e la Borsa, il Presidente Paolo Savona ha parlato espressamente della necessità di regolamentare un settore altrimenti passibile di diventare un “azzardo” per quanti decidano di investirvi i propri risparmi di moneta tradizionale.
L’editoriale di AZ