Leggendo i dati e le proiezioni che fanno parte del capitolo Scuola del Pnrr, e incrociando gli stessi con quelli che dovrebbero essere, su base annuale e in corso di ogni anno, i provvedimenti ordinari di attuazione di questo, così come di altri decisivi settori del Piano nazionale di ripresa e resilienza, qualche riflessione è d’obbligo e d’urgenza.
Non va dimenticato che la forma è sostanza, quindi anche le date e i momenti storici in cui i vari atti vengono assunti acquistano un certo rilievo: specialmente alla vigilia della fase degli esami di maturità, i quali sarebbero dovuti coincidere con il ritorno a una certa normalità post pandemia e invece si svolgono nel pieno di una emergenza bellica internazionale – che spariglia un’altra volta le carte degli scenari economici e sociali dopo il diploma – e con l’incognita del grande sciopero nazionale proclamato per il prossimo 30 maggio dai sindacati della Scuola contro il decreto cosiddetto Pnrr 2 in tema di reclutamento e formazione del personale docente.
Partendo dalla considerazione del Documento di economia e finanza (DEF), ossia l’atto programmatorio adottato un mese fa dal governo e che prepara alla successiva legge di stabilità finanziaria e quindi di bilancio per il nuovo anno, balza subito all’occhio la riduzione di mezzo punto della percentuale della spesa statale per l’istruzione in rapporto a un prodotto interno lordo a propria volta dimezzato nelle prospettive di crescita: il peso specifico della scuola scende pertanto al 3,5 per cento del PIL, cioè a un livello che sul piano statistico ci avvicina più a un Paese dell’est che non a uno Stato nordico come la Svezia che al medesimo settore dedica viceversa 7 punti del proprio reddito nazionale.
Una previsione programmatica, quella del DEF italiano, che sembra volersi coordinare con il dato di partenza dal quale il Pnrr fa declinare l’intera partita scolastica del Paese: la presa d’atto della ineluttabilità del calo strutturale degli studenti e quindi del personale insegnante da qui ai prossimi dieci anni. Per il periodo didattico 2033/34 si prevede che all’appello mancheranno quasi un milione 400mila alunni, che comporteranno la necessità di oltre 126mila docenti in meno.
Eppure, soltanto qualche settimana prima dell’adozione del DEF, il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, aveva sottolineato l’esigenza di procedere in senso diverso, utilizzando il Pnrr per investimenti pubblici in grado, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, di colmare e risanare i divari formativi e di apprendimento che separano l’Italia dagli altri Paesi industrializzati del Continente. Il motivo è chiaro: una carente istruzione e formazione, a causa della quale ogni anno 45.000 giovani si congedano dalla scuola, pur formalmente diplomati, con competenze scolastiche non adeguate, si ribalta sulla qualità del mercato del lavoro e su un sistema di piccole e medie imprese in difficoltà nell’offrire opportunità occupazionali e salariali soddisfacenti.
Il più recente rapporto nazionale Invalsi, il primo dell’era post Covid, che misura in termini scientifici il livello di preparazione dei nostri studenti e studentesse, individua appunto nel segmento decisivo dell’istruzione scolastica superiore, che dovrebbe sancire il passaggio a una maturità non solo teorica o burocratica, l’anello debole dell’intera catena formativa.
Non ce lo possiamo né dobbiamo permettere.
Il Pnrr, e provvedimenti attuativi come i DEF e le leggi di stabilità finanziaria che ogni anno si susseguiranno, non devono partire dalla inevitabilità del calo demografico: semmai devono procedere nella direzione opposta di uno scatto d’orgoglio, di cui il nostro Paese è sempre stato ampiamente capace nei momenti di difficile transizione, e per effetto del quale la Scuola diventi un fattore di attrazione e una calamita per fare giungere in Italia potenziali talenti dall’estero.
Le previste 216 nuove scuole che, per un totale di oltre un miliardo di fondi, saranno progettate e realizzate in Italia, sono una grande opportunità per rispondere proprio a tale obiettivo; in parallelo sarebbe altrettanto necessario e indifferibile, unendo risorse europee e nazionali, un Piano ad hoc per gli altri 40.000 edifici didattici preesistenti, che in 6 casi su dieci mancano tuttora di certificazioni su agibilità statica e prevenzione incendi, e in un caso su 2 sorgono in zone a rischio sismico medio alto.
La Scuola del futuro, e del futuro oggi, deve essere capace di evitare la dispersione dei propri giovani e di attrarne altri dai Paesi nostri diretti competitor. La premessa del rischio della denatalità va intesa come uno sprone per innescare una rinnovata lunga stagione di rinascita didattica, non un pretesto per ripiegare il settore su se stesso. La transizione ecologica e digitale – trasversale a tutto il Pnrr – non può né deve consistere soltanto nella posa di qualche fibra ottica, hot spot o pannello solare in ottica efficientistica, ma va concepita come strumento in grado di rilanciare la ricerca e di trasformare le aule scolastiche in laboratori di apprendimento, di educazione civica e per lo start up delle innovazioni.
L’editoriale di AZ