Guardare alla scuola britannica a partire dall’abolizione delle bocciature? Basta con i populismi preelettorali

Il congresso programmatico di Fratelli d’Italia, convocato e celebrato a Milano dalla fondatrice e presidente del partito della destra conservatrice nostrana, l’ex ministra berlusconiana della politiche giovanili Giorgia Meloni, parlamentare di lungo corso nonostante i suoi appena 44 anni, tra i molti punti sviscerati ha toccato quello relativo al ripensamento del sistema scolastico pubblico. L’attenzione dei giornali, ricercata dalla stessa Meloni ben consapevole dell’effetto detonatore che una tale proposta avrebbe avuto sull’opinione pubblica delle famiglie con figli in età scolare, è ricaduta sul progetto di abolizione della possibilità di comminare bocciature alla fine dell’anno didattico.

Le bocciature – ha sottolineato l’onorevole Meloni – sarebbero il portato di una scuola che “non certifica il vero ed è una eredità del modello sessantottino che ha livellato l’istruzione verso il basso”. In luogo della mancata promozione, l’ipotesi di Fratelli d’Italia è quella di portare nel nostro Paese, sic et simpliciter, il modello anglosassone di Sua Maestà, dove i singoli alunni vengono soggetti a valutazioni che ne certificano i punti di forza e di debolezza in corrispondenza delle diverse materie e discipline del piano di studi.

L’obiettivo sarebbe quello di tendere verso un ordinamento istruttivo di tipo specialistico che porti alla certificazione di competenze che siano poi sviluppate e approfondite in funzione del mercato del lavoro o della prosecuzione del percorso formativo in Istituti professionali.

Nella teoria è tutto molto bello e suggestivo; nella pratica, tuttavia, in un sistema come quello scolastico italiano, pubblico e parapubblico, devastato da due anni di pandemia e dal caos normativo e organizzativo che ne è derivato, quello che balza immediatamente all’attenzione dell’opinione pubblica, delle famiglie e dei ragazzi e ragazze in età scolare, è che non ci saranno più le bocciature.

Possiamo discettare e dibattere all’infinito su quali ipotesi siano migliori per gli alunni del nostro Paese, e anche sulla constatazione che la non promozione o la non ammissione all’anno didattico successivo possa non essere più un fattore efficace per responsabilizzare lo studente e la sua famiglia a un maggiore impegno sui libri e in classe.

Però una simile proposta, lanciata così da un palco congressuale partitico che ha sancito l’investitura di Giorgia Meloni a candidata o autocandidata Premier di un centrodestra non più tale unitariamente da tempo (dal Governo Conte uno all’attuale Draghi), quando manca meno di un anno alle prossime elezioni politiche nelle quali nel 2023 il voto dei diciottenni avrà una certa importanza sia alla Camera che al Senato; tale proposta, appunto, ha il sapore amaro di un tentativo populistico di ottenere il voto di chi fra poco compirà diciotto o diciannove anni e dei suoi genitori.

Questo senza al momento pensare più di tanto a una riforma di sistema della nostra pubblica istruzione alla prese con una fase post covid tuttora caotica e con l’irrisolto problema del precariato degli insegnanti. Senza considerare l’ulteriore aspetto delle cattedre vacanti in molte delle discipline nelle quali dovrebbero essere sviluppati gli approfondimenti e le specializzazioni degli studenti a seguito della valutazione di attitudini e competenze.

Sono altre le priorità di cui l’ordinamento istruttivo e formativo del nostro Paese ha necessità: un maggiore dialogo e interscambio con i mercati europei e internazionali e con i distretti e le filiere produttive del made in Italy, riformando lo strumento degli stage come strumento contrattuale munito di tutele, diritti e obblighi; uno stabile inserimento dell’educazione finanziaria nelle credenziali di ogni alunno come materia universalmente obbligatoria in coerenza con le proposte di molti autorevoli accademici e prestigiosi Banchieri come il Professor Beppe Ghisolfi, al fine di garantire l’adattabilità proattiva ai cambiamenti economici e di tutelare redditi e risparmi delle famiglie di appartenenza; uno sguardo semmai alla Germania, più che alla Gran Bretagna, e alle sue scuole tecnico-professionali che sono un vanto per l’intera Europa occidentale e consentono competitività industriale e trattamenti salariali di avviamento dignitosi.

Partire dalla proposta di abolizione delle bocciature, viceversa, è la conferma di una politica non nazionalpopolare ma nazional-populista, e di segretari di partito meritevoli più di una rimandatura a settembre che di una promozione alla premiership.

L’editoriale di AZ

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