Il regime putiniano, sebbene fortemente provato dalle sanzioni tecnologiche e finanziarie disposte dall’Occidente, è fin qui riuscito a reggere l’urto delle stesse dando seguito alle raccomandazioni della Banca centrale russa. Alla radice di tutto, la non dichiarata volontà delle economie trainanti dell’Ovest, a partire da quella tedesca, di non rinunciare agli approvvigionamenti di idrocarburi provenienti dall’ex URSS.
Esiste un “governo ombra”, a Mosca, che sta impedendo al regime guerrafondaio russo di capitolare e collassare del tutto: si tratta del consiglio direttivo della Banca centrale, custode del rublo, presieduto dalla governatrice Elvira Nabiullina. Proprio la custode della politica monetaria dell’ex URSS, pur avendo lanciato nei giorni scorsi l’allarme sul rischio legato alla limitatezza delle esistenti scorte di tecnologia e manifattura (la cui importazione da UE e USA è fondamentale per una Nazione che vive sui corrispettivi delle sole proprie materie prime combustibili), è stata l’artefice della strategia con cui, artificialmente, il rublo è tornato sui mercati dei cambi valutari ai livelli ante guerra nei confronti del dollaro statunitense e soprattutto dell’euro.

La circolare con cui le autorità di Mosca hanno imposto il pagamento di gas naturale e petrolio nella moneta russa, in effetti, ha avuto come conseguenza quella di trasformare tale valuta in una commodity di riserva, vale a dire in una unità di misura direttamente ancorata a uno specifico bene concreto, gli idrocarburi. Se vogliamo azzardare un parallelo, si tratta di uno scenario molto simile a quello, troncato mezzo secolo fa dall’allora presidente statunitense Richard Nixon, con il quale il dollaro USA era convertibile in oro: un meccanismo che andava sotto il Golden Exchange standard.

Oggi si potrebbe parafrasare in oil Exchange standard. La stessa circostanza che i Paesi occidentali, acquirenti di gas e petrolio, continuino a effettuare presso banche di fiducia del regime russo il pagamento in dollari o in euro, e poi queste procedano alla conversione in rubli, fa sì che la crescente domanda di moneta emessa dalla Banca centrale di Mosca – la quale a inizio conflitto aveva altresì alzato i tassi di interesse fino al 20 per cento salvo poi abbassarli di tre punti – porti a un suo rafforzamento sistemico.
Il protrarsi di una tale situazione rischia addirittura di fare del rublo la valuta di riferimento dell’insieme dei cosiddetti Paesi non allineati all’Occidente – Cina e India in primis – nel contesto di un nuovo ordine internazionale e di una seconda guerra fredda con la divisione del mondo in grandi sfere di influenza.
Lo stesso governo polacco, che fa parte di UE e NATO, ha dovuto ammettere che le sanzioni contro Putin non stanno funzionando. Il solo modo perché funzionino risiede in una fortissima accelerazione in tema di recupero della sovranità energetica europea, autonomia oggi garantita appena in una misura del 13 per cento.
E anche la transizione verso le Rinnovabili non è esente da rischi di eccesso di dipendenza da Paesi non amici della UE, se si considera che le tecnologie fotovoltaiche e per la produzione di energia da fonte solare sono in gran parte di provenienza cinese: un altro grande errore strategico compiuto dalle nostre economie manifatturiere a causa della delocalizzazione all’estremo Est di complessive produzioni merceologiche considerate da noi a basso valore aggiunto e ad alto costo lavorativo.
L’editoriale di A.Z