Catalent, il paradigma di un’Italia dove non basta un ministero per semplificare

Dal New Jersey, Stati Uniti d’America, ad Anagni, Lazio; e da qui con destinazione finale Inghilterra, distretto di Oxford, dove saranno costruiti i bio-reattori che sarebbero dovuti sorgere nel Lazio ma che, a detta del management azienda della multinazionale farmaceutica americana, non erano più in condizione di attendere i tempi lunghi delle autorizzazioni ambientali. Catalent, questo il nome della compagnia statunitense, aveva in animo, e lo aveva formalizzato fin dal 2020, di industrializzare il sito della provincia di Frosinone per farne un polo strategico per la ricerca e la produzione di farmaci biologici, un settore particolarmente richiesto soprattutto in ragione delle esigenze sollevate dalla pandemia tuttora in corso.

Nulla da fare: le complessità vigenti per il rilascio dei nulla osta in tema di valutazione degli impatti ambientali, frazionate tra Regione, agenzia regionale Arpa e Ministero della transizione ecologica, tuttora non culminate in un pronunciamento finale, hanno portato Catalent a compiere una scelta allocativa differente. Si tratta di una questione irrisolta fin dal 1990, l’anno delle due riforme, rispettivamente degli enti locali e della trasparenza dei procedimenti amministrativi, che introdussero per le prima volta una serie di strumenti giuridici a vocazione unitaria e aggregante, dalle intese istituzionali agli accordi di programma fino alle conferenze dei servizi, con l’obiettivo di addivenire a deliberazioni di assenso o diniego in tempi certi per cittadini e imprenditori.

Dal punto di vista delle metodologie introdotte, gli snellimenti procedurali attesi non si verificarono, tanto che fu necessario tra il 1996 e il 1999 intervenire in via ulteriore con le cosiddette decretazioni Bassanini, dal nome dell’allora ministro per la funzione pubblica dei governi Prodi, D’Alema e Amato bis.

Angelo Camilli Presidente di Unindustria Lazio Confindustria

Nulla da fare neanche con questi ennesimi tentativi: a complicare il quadro d’azione, subentrarono alcune riforme di rango costituzionale relative al titolo quinto della legge fondamentale della Repubblica Italiana, norme che dilatavano e amplificavano il sistema delle competenze concorrenti tra lo Stato centrale e le Regioni, in settori come energia, infrastrutture e appunto valutazioni di impatto ambientale. Fino ai giorni nostri, e fino alla bandiera bianca issata dall’azienda statunitense con la rinuncia a investire ad Anagni, la celebre città dei Papi non benedetta però dalla burocrazia.

Viene da chiedersi: come è possibile che tre dicasteri sorti per modernizzare iter procedimentali da ricondurre in linea con i tempi di investimenti di valenza globale, abbiano clamorosamente fallito il bersaglio della de-burocratizzazione? Parliamo della transizione ecologica, della pubblica amministrazione e dell’innovazione tecnologica digitale, deleghe affidate rispettivamente a Cingolani, Brunetta e Colao. Probabilmente, perché un mutamento di ragione sociale o l’apposizione di una diversa targa all’ingresso di uffici pubblici rimasti immutati nei fatti, non basta a provocare il cambiamento atteso che è anzitutto culturale.

Molto spesso, dietro all’insegna dei cosiddetti sportelli unici si celano le frammentazioni preesistenti di compiti e di scrivanie che non comunicano fra di loro; inoltre, alla digitalizzazione delle amministrazioni statali e regionali non corrisponde il più delle volte una riduzione della mole di atti cartacei tuttora prescritti e da produrre, cosicché un utente cittadino imprenditore che accede al sito internet di un ente pubblico, dopo una serie di compilazioni al computer deve stampare documenti, fare code per i pagamenti e compilare richieste per fissare appuntamenti con questo o quel funzionario deliberante.

Angelo Camilli, Presidente di Unindustria Lazio – Confindustria, è molto netto in proposito: “Catalent è solo la punta di un iceberg. Le mancate o tardive autorizzazioni amministrative o ambientali rappresentano un problema irrisolto che può protrarsi addirittura fino a dieci anni per determinate categorie di licenze. Tempi incompatibili con le odierne emergenze che impongono di ridurre il più possibile i costi indiretti rappresentati dai tempi di durata delle procedure burocratiche. Sui giornali leggiamo ogni giorno di cortei e mobilitazioni che vengono indette per impedire la chiusura o la delocalizzazione di una fabbrica esistente, ma non si sente mai parlare di iniziative analoghe per tutelare uno stabilimento che non apre più o che rinuncia ad aprire a causa di vicende paradossali come quella di Anagni”.

Beppe Ghisolfi e Corrado Sforza Fogliani: due brillanti Banchieri giornalisti autori di bellissimi e pungenti editoriali contro la piaga della burocrazia che mette in difficoltà l’agire di cittadini, imprese e banche

Illuminante in proposito una riflessione storica del Professor Beppe Ghisolfi, Banchiere scrittore e opinionista pungente: “La lotta alla burocrazia è un tema ricorrente nei comizi e nei dibattiti dei partiti e dei politici specialmente alla vigilia di momenti e tornate elettorali. Peccato però che nel resto dell’anno gli stessi politici che si lamentano della burocrazia sono coloro che la determinano attraverso le complicate leggi che approvano in continuazione in Parlamento”.

L’editoriale di A.Z

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