Disastro Shanghai, la Cina è vicinissima: in Europa e Occidente a rischio blocco il 40% delle industrie

Il lockdown totale imposto dalle autorità di Pechino nei confronti dei 26 milioni di abitanti della megalopoli del Dragone, per cercare (invano) di azzerare l’ondata di contagi in corsa, probabilmente dovuti alla nuova variante omicron del coronavirus, sarebbe di certo la notizia dominante nell’informazione del Mondo intero, se non fosse per la guerra russa in Ucraina che monopolizza le cronache. Eppure, l’impatto sulle economie occidentali rischia e minaccia di essere non meno devastante e diffuso lungo tutte le filiere e catene di creazione del valore industriale e commerciale.

Già il virus di Wuhan, due anni fa, aveva messo in evidenza la vulnerabilità delle economie dell’Ovest del pianeta, e dell’Unione Europea in special modo, dimostrando drammaticamente come l’inceppamento degli anelli di competenza cinese dei processi produttivi transnazionali possa condurre al blocco di complessive fabbriche in Italia e negli altri Paesi della UE: i semilavorati e le produzioni intermedie che servono alla generalità e totalità della manifattura automobilistica e delle telecomunicazioni, provengono infatti dagli stabilimenti e dal grande porto di Shangai, dove si registra il 40 per cento in meno nelle partenze di navi mercantili verso le destinazioni occidentali.

Spettrali: i centri commerciali deserti di Shanghai

Se da una parte il drastico rallentamento delle attività energivore in Cina, causato dalla strategia “covid zero” seguita dal partito unico comunista da sempre al potere, ha allentato la pressione sulle quotazioni del petrolio e degli idrocarburi, i cui benefici sono stati però del tutto vanificati dalla guerra in Ucraina, d’altra parte molte grandi compagnie europee, americane e giapponesi attive nel Paese della grande muraglia non hanno utilizzato i 24 mesi passati per avviare almeno in parte un cammino di riavvicinamento o di rilocalizzazione delle attività decentrate in Cina nei periodi precedenti.

Joerg Wuttke, Presidente della Camera di commercio dell’Unione Europea in Cina

L’aggressione bellica attuata dalla Russia di Putin, alleata storica di Pechino, contro Kiev ha invece confermato come la pandemia iniziata nel 2020 abbia innescato un rivoluzionamento irreversibile nella filosofia stessa della globalizzazione, la quale non sarà più un generico e indistinto globalismo come si pensava prima, bensì imporrà un diverso approccio alle politiche statali e aziendali di internazionalizzazione in maniera che sia data continuità alle catene del valore privilegiando ove possibile la prossimità e la tracciabilità dei singoli anelli che le compongono.

La grande megalopoli cinese ha una popolazione pari quasi alla metà di quella Italiana e un prodotto interno lordo equivalente al reddito nazionale di un Paese come la Polonia

Che Shangai abbia un impatto su scala mondiale è obiettivamente evidente da alcuni numeri di base: parliamo di un’area metropolitana la cui popolazione è pari quasi alla metà di quella Italiana, con un prodotto interno lordo che al 31 dicembre 2019 raggiungeva i 680 miliardi di dollari annui; la Borsa valori è la terza al mondo, dopo le piazze di New York e Londra, per livello di capitalizzazione, mentre l’area portuale è (o meglio, era) il primo operatore globale per entità di container movimentati pari a quattro volte i valori del porto di Los Angeles. Da Shanghai traevano origine, prima del lockdown, il 10 per cento del commercio mondiale della Cina e il 17 per cento del totale delle spedizioni partite dalla Repubblica popolare Cinese.

È notizia recente che il ministro del commercio del governo di Pechino, Wang Wentao, avrebbe deciso di incontrare i rappresentanti delle Camere di commercio estere operanti nella terra del Dragone, e tra essi naturalmente il presidente dell’ente camerale dell’Unione Europea, mister Joerg Wuttke, il quale nei giorni scorsi ha affidato a una propria lettera di lamentele ufficiali le preoccupazioni del mondo economico europeo per un lockdown che egli definisce sbagliato nel concetto e nel metodo poiché applicato a una variante di coronavirus del tutto diversa, meno letale e più diffusiva, di quella originaria di Wuhan.

L’editoriale di A.Z

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