Le rilevazioni pubblicate dal ministero dell’economia e delle finanze, e aventi per oggetto la ricognizione su redditi e imponibili di competenza dell’anno 2020, indicano, purtroppo a livello confermativo, che l’Italia non è un Paese per ceti medi, ma al contrario è una Nazione fondata sul concetto di rendita scollegata dai temi della produzione e della produttività. Sebbene le spese fiscali – cioè la previsione di detrazioni Irpef sull’acquisto di determinati beni e servizi – abbiano almeno in parte contribuito alla emersione di settori di economia irregolare (non illegale, si badi bene) e del fenomeno tuttora diffuso della cosiddetta “evasione di sopravvivenza” (quelle quote di reddito in cash che restano nel circuito del consumo domestico nazionale), le aree di informalità rimangono estese e sono tali da non garantire mercati trasparenti e lealmente concorrenziali alle aziende e ai lavoratori rispettosi dell’insieme totale e generale delle norme vigenti nei rispettivi campi di operatività.
Una delle responsabilità di questo scenario sta nella filosofia stessa, profondamente sbagliata in termini concettuali e filosofici, dei controlli statali, orientati più a perseguire le violazioni formali dei soggetti d’imposta già emersi che non a individuare e a stanare i casi di occultamento sostanziale di patrimoni e di redditi. Prova ulteriore di ciò ne è che – come argomentato dalla Cgia di Mestre – nel nostro Paese vi sono oltre 160 banche dati fiscali che non sono messe in dialogo fra di loro, e d’altra parte il controverso disegno di legge di riforma del catasto, alla base del rischio di una crisi del governo Draghi, spiega ancora una volta quanto sia difficile uscire culturalmente da una visione dell’economia e della società Italiana incentrata sulla rendita piuttosto che sul tema e sulle sfide della generazione di reddito produttivo.
L’avvento della pandemia ha messo in evidenza il divario che era già una costante storica tra redditi da lavoro autonomo, redditi d’impresa e redditi da lavoro alle dipendenze e da pensione, con una tendenza penalizzante per le attività orientate all’utilizzo dei mezzi e dei fattori della produzione industriale. La circostanza integrata che il 70 per cento dell’intero gettito Irpef derivi dalla fascia reddituale tra i 15.000 e i 70.000 euro lordi, che 27 contribuenti ogni 100 dichiarino fino a 15.000 euro (apportando il 4% dell’ammontare dell’imposta diretta), e che soltanto 4 soggetti Irpef su 100 superino la soglia imponibile dei 70.000 euro, sottolinea più di ogni altra statistica o di qualsiasi ragionamento sociologico una realtà non favorevole alla formazione di nuovi ceti medi produttivi.
L’editoriale di A.Z