L’Italia ci riprova a imitare il Portogallo: dopo il sud, tassazione piatta al 7% per chi dall’estero si trasferisca nelle zone terremotate

Allo stesso tempo, tuttavia, nessun Governo in carica a palazzo Chigi, soprattutto dal 2008 in poi, è stato in grado di arginare il nuovo crescente fenomeno dell’emigrazione di pensionati nostri connazionali in Paesi caratterizzati da ridotti livelli di imposizione fiscale e da migliori condizioni climatiche e di costo della vita. Dopo il sostanziale fallimento dell’operazione Sud – condotta a partire dal 2019 (Governo Conte 1) con l’istituzione di una tassazione al 7 per cento per i non residenti titolari di pensione estera che si trasferiscano nei Comuni del mezzogiorno sotto i 20.000 abitanti – adesso il governo italiano, questa volta con Draghi a palazzo Chigi, ci riprova nell’intento di avvicinare l’Italia al modello del Portogallo: estendendo la predetta agevolazione tributaria ai pensionati stranieri (o italiani che vogliano rimpatriare) che optino per iscrivere la propria nuova residenza in uno dei territori comunali colpiti dagli eventi sismici che funestarono l’Abruzzo, il Lazio, l’Umbria, le Marche).

Un provvedimento che si trova contenuto nel decreto Sostegni ter appena approvato dal Senato, ma che non tiene conto delle circostanze alla base delle scarse adesioni al regime agevolativo nella sua prima formulazione geografica: la condizione di insicurezza, soprattutto per la popolazione anziana, di molte aree del Paese, l’isolamento di cui le stesse soffrono dal punto di vista infrastrutturale e del trasporti, il progressivo arretramento dei servizi socio assistenziali e sanitari.

Condizioni di iniziale svantaggio competitivo, nei confronti di localizzazioni alternative come il Portogallo, e per effetto delle quali una realtà come quella italiana può venire ragionevolmente opzionata soltanto da pensionati non residenti benestanti e in grado di provvedere autonomamente a procurarsi servizi integrativi per la propria sicurezza e cura personale. Problemi destinati a essere ancora più evidenti nel caso di Città colpite dal dramma di un terremoto, dove i piani di ricostruzione e di risanamento urbano e sociale procedono nel migliore dei casi a rilento.

Viceversa, nessun Governo italiano sembra essere in grado, né esprimere la volontà di procedere sull’altro versante della questione: creare condizioni fiscali e di servizi sociali basilari che anzitutto siano di incentivo ai nostri connazionali, titolari di assegni pensionistici, a non emigrare, e poi – a partire da ciò – incoraggino un turismo previdenziale dei ceti medi da Paesi terzi.

Le politiche tributarie avviate dal 2019 a oggi, al contrario, hanno soltanto unicamente aggravato un sistema già in sé iniquo, diseguale, regressivo, dove i pensionati italiani con assegni di importo medio e medio piccolo devono farsi carico della gran parte dei 55 miliardi di prelievo Irpef statale, regionale, comunale, con la beffa di continuare a subire il blocco della rivalutazione introdotto dalla legge Fornero fin dal 2012.

L’Albania è destinata a rappresentare una nuova crescente meta del turismo previdenziale, anche in ragione delle crescenti tensioni internazionali che stanno colpendo l’Europa orientale per le ripercussioni del conflitto in Ucraina. Nella foto, la baia di Kune Vain a Lezha, Albania del Nord, in località San Giovanni di Medua

Allo stato attuale, sono oltre 330.000 le prestazioni pensionistiche pagate dall’INPS all’estero, distribuite fra 160 Paesi per un totale che supera il miliardo di euro. Oltre la metà dei beneficiari ha la residenza nei cinque Paesi che rappresentano le destinazioni storiche degli emigranti Italiani, ossia Germania, Australia, Canada, Francia e Stati Uniti d’America. Diversamente, ossia dal 2008 in avanti, sono cresciute in percentuale molto alta le mete corrispondenti ai Balcani, all’est Europa, al Sud America.

All’interno della platea dei percettori titolari di assegni INPS in Paesi terzi, bisogna inoltre distinguere tra pensioni maturate in regime di totalizzazione internazionale – frutto cioè di carriere lavorative sviluppate tra Italia e nuovo Paese di residenza estera (o di rientro dell’ex lavoratore di nazionalità diversa da quella italiana) – e pensioni maturate completamente in regime nazionale, casistica alla quale appartengono oltre 50.000 assegni. Quest’ultimo dato assume un particolare rilievo poiché equivale ai veri e propri “migranti previdenziali”, ossia cittadini italiani di una certa età che a un certo punto – per raggiungere i figli o i nipoti a propria volta emigrati o per fruire di una più bassa tassazione o di migliori condizioni economiche e climatiche – decidono di trasferirsi stabilmente in altre Nazioni.

Una quota destinata a crescere a beneficio di realtà come l’Albania dove, peraltro, sono destinati a confluire – per ragioni connesse alle tensioni internazionali in Ucraina e nei Paesi limitrofi come Moldavia e Romania – altresì i titolari di assegni INPS residenti in questi ultimi Paesi dell’Europa orientale non più sicuri.

L’editoriale di A.Z

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