La straordinaria iniziativa di diplomazia commerciale, fortemente voluta dal Premier Edi Rama per unificare in senso doganale e burocratico amministrativo i Paesi dei Balcani occidentali, così da fluidificare gli interscambi commerciali tra gli stessi, potrebbe fornire delle soluzioni effettive al problema del caro prezzi da importazione e dei movimenti speculativi interni sui listini. Potrebbero essere i Balcani aperti, l’innovativo progetto di diplomazia economica e commerciale promosso dal Premier Edi Rama, a chiudere i rubinetti non della benzina ma della speculazione in atto sulla stessa a carico dei consumatori finali.

A oggi, le azioni intraprese grazie a Open Balkans hanno consentito di riaprire uno storico canale di dialogo tra le Nazioni della frammentata area macroregionale comprendente oltre all’Albania, il Kosovo, la Serbia e la Macedonia del Nord. Il perdurante clima di tensione tra Serbi e Kosovari, ha indotto il primo ministro albanese a promuovere due distinti tavoli di confronto e di lavoro – uno tra Albania e Kosovo e l’altro di Tirana con Serbia e Macedonia settentrionale – per addivenire alla stipula dei relativi accordi internazionali.

Accordi che tendono sia all’abolizione delle dogane ai confini amministrativi tra gli Stati interessati (il porto albanese di Durazzo diventerà per esempio sede unificata con il Kosovo per le merci in transito verso questo secondo Paese), sia a una graduale convergenza normativa e amministrativa su settori omogenei, dalla giustizia all’agricoltura, dalla sicurezza al transito dei lavoratori frontalieri, dal turismo alla rivalutazione del patrimonio storico e culturale fino alla creazione di grandi corridoi stradali, ferroviari, elettrici. Open Balkans potrebbe costituire la leva per disinnescare la mina e l’ipoteca posta dal rincaro dei carburanti sulle economie nazionali che compongono la regione interessata.
Finora, i singoli governi si sono mossi in ordine sparso e con provvedimenti che anche in prospettiva tendono ad affrontare, ciascuno entro i propri confini nazionali, un problema di valenza globale e che richiede una certa capacità di coesione o quanto meno di coordinamento.
In Albania, per esempio, il governo Rama ha concentrato i propri sforzi nella calmierazione delle bollette elettriche, a fronte di un mercato della benzina rimasto fluttuante. In Kosovo, a fluttuare al rialzo sono state le tariffe della luce, mentre in ultimo il premier Albin Kurti ha deciso per la benzina la fissazione di un tetto massimo ai profitti dei grossisti e dei distributori in percentuale sui prezzi applicati alle stazioni di servizio e quindi agli automobilisti. In Macedonia, infine, il nuovo presidente del Consiglio Dimitri Kovacevski ha chiesto al Parlamento di Skopje la definitiva approvazione di un programma urgente articolato in 26 misure tributarie i cui capisaldi sono un graduale aumento del salario minimo, la diminuzione dell’IVA sui cibi primari e di alcune tasse sui prodotti petroliferi per autotrazione.

La Repubblica serba di Aleksandr Vucic, infine, ha decretato il divieto di esportazione di prodotti agroalimentari e tecnologici utili all’economia interna e al contenimento dei suoi costi. Considerati singolarmente e nel proprio insieme, si tratta di interventi validi e meritevoli, la cui efficacia potrebbe però essere massimizzata se venissero fatti rientrare in una cornice armonica.

Così come maggiore sarebbe la forza contrattuale che potrebbe derivare dalla creazione di un’unica autorità contrattuale di acquisto e distribuzione degli idrocarburi per il territorio dell’intera macroregione, un passo che permetterebbe la forte accelerazione del mercato unico dell’economia e del lavoro alla base e alla radice di Open Balkans.
L’editoriale di A.Z