La partita del Quirinale deciderà le sorti anche economico – finanziarie dell’azienda italiana

L’elezione parlamentare del successore di Sergio Mattarella è cominciata in salita, proprio quando dal suo sblocco dipende il livello di affidabilità del nostro Paese sui mercati internazionali. Chi sarà il nuovo Inquilino del Colle per i prossimi 7 anni? Appare superfluo ricordare che i partiti in maniera trasversale, a cominciare dalla maggioranza multi partisan che appoggia Draghi da oramai un anno, avrebbero voluto incassare fin dal principio di questa consultazione dei grandi elettori (ossia deputati, senatori e delegati delle Regioni) la dichiarazione di disponibilità di Sergio Mattarella a un mandato bis, magari a tempo (come fu quello di Giorgio Napolitano tra il 2013 e l’inizio del 2015), per il tempo utile alla conclusione naturale della legislatura e l’insediamento del prossimo Parlamento nella primavera del 2023. Mattarella tuttavia ha comunicato la propria volontà di non concorrere alla propria auto successione, e di fare in modo che il dettato costituzionale sul settennato sia applicato alla lettera senza interpretazioni estensive.

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Ecco allora che ha preso maggiormente spazio l’ipotesi di una Presidenza Draghi, da quest’ultimo pare non disdegnata seppure attraverso dichiarazioni di tipo criptico e indiretto, che sembrerebbero trovare conferma in un certo attivismo consultivo tra i gruppi parlamentari della sua maggioranza. A favore di questo secondo scenario, di trasloco della più alta carica di palazzo Chigi sullo scranno più elevato del Quirinale, giocherebbero più fattori: la consapevolezza, nel Professor Mario Draghi, che la gestione del Governo politico è molto più complicata e insidiosa della direzione di vertice della Banca centrale europea, postazione quest’ultima dalla quale gli fu possibile varare quel quantitative easing che avrebbe permesso all’Italia di attuare scostamenti mirati del bilancio pubblico riducendo notevolmente l’onere della spesa per interessi passivi sul debito sovrano.

La legge di stabilità che porta la firma dell’ex presidente della BCE, infatti, per quanto non abbia deluso le attese sul terreno macroeconomico e della messa in pista dell’attuazione del Pnrr, non ha incontrato il pieno gradimento di numerose categorie sociali portanti del PIL del Paese, in considerazione di interventi e sostegni singolarmente ritenuti non sufficienti a mettere al riparo specifici settori da insidie come il caro bollette e la crescita generale dell’inflazione. Mentre una serie di riforme molto caldeggiate da cittadini e imprese, a partire da quella fiscale, sono state appena delineate nei loro criteri direttivi di massima.

Se alla vigilia dell’insediamento di Draghi alla guida del governo l’intento era quello di accelerare la campagna di vaccinazione e di consentire l’approvazione del recovery Plan da parte di Bruxelles, allora può parlarsi di un duplice obiettivo raggiunto. Se tuttavia il ragionamento si estende ai necessari ammodernamenti da apportare agli apparati istituzionali e amministrativi dello Stato e degli enti territoriali, a parità di Costituzione vigente, e di per se stessi funzionali a che i fondi europei assegnati per la ripartenza post pandemica non rimangano inutilizzati, allora è su questo particolare versante che il Premier Draghi ha maturato la consapevolezza della farraginosità del nostro sistema politico.

Motivo per cui egli, a questo punto, non disdegnerebbe un proprio ruolo al Colle creando tuttavia le basi per mettere in sicurezza la continuità dell’azione di Governo con l’attuale coalizione trasversale. L’alternativa forte a Draghi – dopo il ritiro del fondatore del centrodestra italiano e più volte Premier Silvio Berlusconi (che fu decisivo nel designare Draghi prima alla Banca d’Italia e poi alla guida della BCE nel 2011) – sarebbe quella rappresentata da Giuliano Amato, nella prima Repubblica uomo forte di Bettino Craxi e nel 1992 premier emergenziale traghettatore verso la seconda Repubblica. Mentre le opzioni connesse alla Ministra Marta Cartabia, alla Presidente del Senato Elisabetta Casellati e alla storica leader radicale Emma Bonino paiono al momento ancora prive del necessario vigore.

Una conclusione è doverosa: l’Italia, per la propria particolare architettura derivante dagli sviluppi della cosiddetta Costituzione in senso non formale ma materiale, che hanno portato a meccanismi decisionali molto laboriosi e complessi, ha bisogno sì di garanti, ma arrivata a questo punto ha necessità anzitutto di profili dotati della autorevolezza propedeutica non solo a garantire la stabilità e la serietà delle Istituzioni ma anche a tradurre tali requisiti di partenza in propensione a fare: affinché il prestigio diventi strumento di buon funzionamento pratico, decidente e realizzativo, di tutto quanto occorre a investire e lavorare, nel pubblico e nel privato, in condizione di preventiva certezza e sicurezza e sulla base di sempre precise scansioni di responsabilità.

A.Z

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